Ho visto un' autoritratto presso la mostra del Signor Ingegnoli a Milano, una mostra gratuita, frutto dell'impegno di un imprenditore italiano amante dell'arte.
E' un' opera che ha colpito me, ma anche chi mi accompagnava, un pittore a me sconosciuto, ma penso anche a molte altre persone. Un autoritratto vivo, presente e particolare, l'autoritratto del pittore Pietro Pajetta, che sembra ti osservi, mentre tu passi lentamente in questo percorso espositivo.
Nato il 22 marzo 1845 a Serravalle di Vittorio Veneto, Pajetta, figlio di Paolo Pajetta, anch'esso pittore, aveva un fratello minore Mariano anch'esso pittore.
Progettava di entrare in un ordine religioso, per poter accedere agli studi di pittura.
Nel 1860, all'età di 15 anni, si arruolò nell'esercito, per combattere nella seconda guerra di indipendenza italiana, contro l'Austria, nel periodo militare, espose ad Alessandria, l'opera, Genio e povertà, che fu premiata con medaglia d’oro.
Aiutato dal suo comandante, il general Cialdini, in seguito riuscì ad entrare all'accademia di Bologna.
Dopo il congedo si sposò, il suo stato economico, era sempre molto precario, solo nel 1872 riuscì a partecipare all’Esposizione di Treviso, con Bolla di sapone; Visita in città, La mattina.
Nel 1874, Pietro dipingeva i Giochi nella stalla (1874), dove due bambini,si improvvisano condottieri di un esercito
Con l'avvento della fotografia, le pitture di Pietro entrarono in competizione con la nuova forma d'arte.
Nel suo primo periodo realizzò parecchie opere religiose.
dal web:
Nel 1881 inviò a Milano Requies e I vagabondi; nel 1883, a Roma, La preghiera e Nono no xè sì bon, e a Venezia, Unico patrimonio; al Palazzo di Cristallo di Londra, nel 1884, varie opere che gli fruttarono una medaglia d’argento; nel 1893, a Milano, Ammalato, premiato con medaglia d’oro; nel 1895, a Venezia, Interno di stalla; nel 1898, a Torino, Paesaggio e Le gioie di famiglia,
Preghiera e Angelo custode; nel 1904, a Padova, il bozzetto del quadro Follie e Testa di donna;
Visioni nitide come istantanee, scene di cantastorie e contadini al mercato, sorpresi mentre raccontano, vendono e comprano le loro storie e la loro mercanzia.
Dipinse quadri di soggetto rustico,che per sentimento, colore e maestria di composizione sono veramente pregevoli.
Gli occhi umidi del cane, che annusa la mano del padrone, la gioia del chierichetto che in un angolo della chiesa legge il Vangelo, fiero dei suoi progressi nella lettura che compie di nascosto, ...una gioia simile a quella della robusta perpetua, mentre legge il breviario rubato per un attimo, seduta sulla scrivania del prete che sonnecchia, fu uno dei migliori animalisti del suo tempo.
Nel 1906, all’Esposizione per l’inaugurazione del nuovo Valico del Sempione, espose a Milano, La preghiera e il Ritratto del musicista Cesare Pollini di Padova;
Sempre a Padova nel 1908, espose San Sebastiano e Al pascolo;
Nel 1909, a Monaco, Fiori selvatici, e nello stesso anno fu invitato ad esporre al Salone di Parigi.
Anche in altri soggetti, si rivelò profondo ricercatore del vero, seppe esprimere con efficacia il dolore umano,
Altre opere notevoli:
Il nuovo nato,
tanti ritratti di notevole pregio:
Caterina Boccaloni nobile Malaspina; Il vescovo Callegari; Il monsignor Pietro Balan e L’astronomo Sacchi.
Ma il talento pittorico del Pajetta si rivelò anche nella decorazione simbolica, e lo dimostrano il soffitto del palazzo Camerini in Piazzola e il soffitto della chiesa di San Giovanni Ilarione sopra Vicenza; le decorazioni della villa Valduga a Feltre; gli affreschi nel Duomo di Padova e in una villa di Vittorio Veneto. molte delle sue opere sono emigrate in America.
Le informazioni che ho acquisito mi hanno piacevolmente stupito tanto che ai giorni nostri la dinastia dei pittori Pajetta si distingue, ed è continuata fino ai giorni nostri, in un intervista Giorgio Pajetta descrive così:
"«Questa famiglia - spiega Giorgio Pajetta, figlio di Guido - è un'eccezione. Tutto è iniziato con il mio bisnonno Paolo, per proseguire con i figli Pietro e Mariano, e continuare con Mario Paolo e mio padre, arrivando quasi alla fine del Novecento, mentre le altre dinastie di pittori, si pensi ai Tiepolo, ai Ciardi, ai Carracci, si sono fermate tutte molto prima, e comunque non hanno superato l' Ottocento».
Quasi centottanta anni di mestiere tramandato e interpretato, vissuto da «una famiglia che - aggiunge Giorgio - spesso ha fuso arte, politica, impegno sociale sentendo tutta l'inquietudine della modernità. La loro forza e il loro limite è nella modestia, nell'incapacità di vendersi, caratteristica comune a tutti i membri della famiglia."