il filo dei ricordi-racconti

martedì 30 luglio 2013

L'AMICIZIA

Viene definita amicizia disinteressata,il rapporto che si instaura tra due persone, un sentimento di affetto, di simpatia, solidarietà, di stima, che diventa un incontro quotidiano con famigliarità.
Sappiamo tutti , che spesso l'amicizia non è così disinteressata o così spontanea, e quando te ne rendi conto, ti fa male,
Sopratutto nel virtuale, credevo di aver imparato a capire o meglio, di essere stata fortunata, ma la mia delusione è stata reale, come se l'amico lo conoscessi personalmente, e ci sono stata male.
Si parla di stima e di affetto, si parla di incomprensioni da chiarire, sembra che ci si chiarisca, ma la delusione provata, è ferma.
Pensi e ripensi a quello che è successo, cerchi di analizzare, mettendoti in discussione, forse anche tu lo hai deluso, forse anche l'amico ci è rimasto male.
Potevo evitare questa cosa?
Si, avrei potuto evitarla, potevo fare più cose, non prenderla in considerazione, potevo evitare di dire cosa mi era stato richiesto, potevo imbrogliare o mentire, non ho fatto niente di tutto questo, Ho chiesto se potevo fare, e sarebbe bastata solo una risposta "preferirei tu non lo facessi"
Per amicizia, avrei fatto quel che mi avrebbe chiesto, perchè ci tenevo, invece il discorso ha preso una svolta diversa.
Mi sono sentita, in difficoltà, combattuta tra il rispetto , che era risaputo, alla paura di aver sbagliato, alla sensazione di essere stata scorretta, quando in realtà, mi sono trovata in mezzo ad una rivalità tra due persone che si dimostravano un rispetto solo di facciata.
Ho capito allora che sono stata usata, e che il mio starci male, era solo mio, perchè in realtà ero solo un'amica, forse e dico forse, di comodo.


Il mio errore, è stato quello di credere che potevo essere educata con tutti e due, credere che non avrei tolto niente a nessuno,se ho sbagliato, è stato in buona fede. Mai ho creato problemi, mai ho agito con voltafaccia
Ognuno di noi ha i suoi retaggi, che non si chiudono, io ho i miei, sempre pronti a riaprirsi, certe frasi magari sfuggite, lasciano un segno per chi ha già un bel bagaglio di dolori.
MI è stato fatto notare, da altre persone, che era per più una questione di etica e di stile, non so se l'etica e lo stile
comprendono le bugie, perchè qualcuno ha esagerato mentendo.


Avevo messo questa amicizia su di un piedistallo, la mia stima nei suoi confronti era illimitata, non sono una persona forte, d'altra parte negli affetti, perchè io provavo affetto, c'è sempre sofferenza, passerà, come passa sempre tutto, anche se lascia un po' di amaro in bocca.

lunedì 29 luglio 2013

DIVENTARE NONNA

L'anno 2003,  per me era un anno da dimenticare, ho perso mio marito, una cosa alla quale non ero pronta, ammesso che ci si possa trovare pronti, davanti alla morte, una morte  ......improvvisa;  pochi mesi dopo, ho perso il mio papà e, dopo pochi mesi ancora, anche la mia mamma  mi ha lasciato.
 I miei genitori erano ammalati,  la malattia è una brutta cosa, ma ha un vantaggio: quello di prepararti,  in parte, al distacco....
Io ho  provato il dolore, l'impotenza, la sensazione di non farcela.
Mia figlia in quel periodo, mi comunicava di essere in attesa di un bimbo e, onestamente,  la mia reazione non è stata delle migliori, tutte le aspettative che avevo riposto in lei,  si infrangevano,  ma il buon senso poi prevale su tutte le difficoltà.
Malgrado la giovane età,  ha voluto il suo bambino, con decisione. È nato l'otto dicembre 2003.
Quel mattino, chiamavo lei e il suo compagno a cellulare, ma nessuno rispondeva, alle ore otto e quindici  ho ricevuto la notizia
"E’ nato! E’ maschio!!! 
Mi sono recata in ospedale subito, ho visto mia figlia, un po' provata, ma felice, tutto era andato bene.
Quando hanno alzato la veneziana, che copriva il vetro della nursery, e ho visto il mio batuffolo, non ho capito più nulla,  le mie preoccupazioni se pur concrete, svanivano guardandolo.
 I miei fratelli sono arrivati in ospedale,  con me hanno gioito di quel che, pochi mesi prima ritenevo un "fattaccio".
 Dall'ospedale sono stati dimessi quasi subito ,  il sabato successivo, Chicco era già in casa mia. Aveva una tutina rossa, un po’ abbondante, non la scorderò mai, è stato,  ed è la mia gioia.
Mia figlia ha iniziato presto il lavoro , alternando i turni con l'altra nonna, lo accudivamo.
E' cresciuto fino ai 4 anni con me, poi mia figlia si è dovuta trasferire, abbiamo fatto tutto insieme, ho goduto del piacere di essere nonna, l'ho cullato, lavato, imboccato, stretto a me,   ma il suo era un bisogno fisiologico di assistenza; il vero aiuto l'ho avuto io , è stato la mia ancora di salvezza. 

 Ero orgogliosa quando lo portavo in giro, lo sono anche ora, anche se adesso è grande.



Ho sentito la sua pelle morbida col tocco delle mie mani, il suo profumo, i suoi pianti,  le sue prime parole, ho visto i primi passi, abbiamo cantato le filastrocche,  si stringeva a me; quando lo venivano a prendere,  non voleva andarsene.



 Ho sentito spesso la sua  mancanza, ma ero consapevole che fosse giusto così.
Sono passati 10 anni,  ho 52 anni e sono sempre la nonna Chicca innamorata del suo Chicco.





A volte mi sento in colpa perché non lo volevo, ma credo che da me, abbia avuto tutto l'amore possibile,   tanta voglia di stare insieme, il gusto di stare insieme.
Una massima cita: " non tutto il male viene per nuocere,  e dopo il brutto tempo esce il sole": il mio sole si chiama Chicco.   







Il  piatto di pasta

Spesso,  ci si deve abituare a cose che,  non vorresti mai diventassero parte del tuo modo di vivere,
tornare a casa e trovare la porta chiusa,  la luce spenta, senza nessuno che ti aspetti:; è brutto,  ma la cosa più brutta è dover mangiare da sola, almeno,  per me.
Anche fare colazione diventa una cosa senza piacere , sembra di non sentire più nemmeno il sapore del caffè, lo bevi in piedi, ti manca proprio  il piacere di gustare un buon caffè. 
E' talmente brutto che mangi inizialmente sul lavandino,  così non porchi nemmeno il tavolo, poi  , non usi più nemmeno la tovaglia, e usi lo scottex,  ti viene a mancare principalmente la voglia di cucinare e se c'è un vantaggio c'è,  è quello  di dimagrire.
Diventi troppo magra,  a volte fumi troppo, e manca tutto, la fantasia di pensare a cosa mangiare, la voglia di fare la spesa, e di iniziare a preparare , manca il profumo del cibo cucinato,  il piatto dove mangi è spento,  anonimo, senza colori, forse la tua cucina è pulita e ordinata, ma sembra di vivere in una foto della pubblicità senza profumi, sapori e colori. Poi per caso un'amica passa da casa tua , con lei il tempo corre ed  è ora di cenare, faccio un piatto di pasta,  e per una sera mangi come una persona, parli con qualcuno e capisci, che è l'unico modo per contrastare la solitudine.

Nel tempo ho cucinato per tanti amici, anche più di uno e sono stata invitata contraccambiando da qualcun'altro, la mia casa forse è un po meno precisa, ma si respira un'altra aria ,si sente il calore della compagnia, le risate, il piacere di non essere sola,  sento il profumo del ragù, dei risotto coi funghi, il fischio della pentola a pressione che cuoce il bollito, e il calore del forno con le lasagne,  i colori delle verdure nei piatti, sento anche l'ansia che mi prende ogni volta, pensando che potrebbe non piacere quel che ho preparato, ma  che, solitamente,  il giorno dopo si supera.
Non voglio dire che tutti i giorni si invitano persone, ma ogni tanto fa solo bene.
Ultimamente,  mi capita di trovare la cena pronta, tornare a casa stanca,  entrare in casa e vedere il tavolo apparecchiato è come aver vinto al super enalotto per me, tutto è buono,  sopratutto se è già pronto, non darò mai più per scontato quello che sembra normalità, la normalità è la vita, .....sentire qualcuno che ti saluta, ciao è la più bella parola che c’è, “vieni a vedere cosa ti ho preparato”, e poi sentirti dire vai a lavarti io finisco di preparare, non mi sembra vero….



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IL CAMPO DI CONCENTRAMENTO

LA NOTTE.

Mai dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo, che ha fatto della mia vita una lunga notte e per sette volte sprangata.
Mai dimenticherò quel fumo.
Mai dimenticherò i piccoli volti dei bambini di cui avevo visto i corpi trasformarsi in volute di fumo sotto un cielo muto.
Mai dimenticherò quelle fiamme che bruciarono per sempre la mia Fede.
Mai dimenticherò quel silenzio notturno che mi ha tolto per l’eternità il desiderio di vivere.
Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio e la mia anima, e i miei sogni, che presero il volto del deserto.
Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso. Mai.

(Elie Wiesel – Premio Nobel per la pace 1986




Questa poesia mi ha fatto ricordare il mio papà , che in qualche suo momento di debolezza, tornava con la testa al campo di concentramento, ero una bambina e poi una ragazzina , e spesso, molto spesso questo campo tornava alla sua mente  e di rimando alle sue parole.....
Bastava semplicemente non voler mangiare quel piatto di minestrone di verdura, che  tutte le sere  la mamma preparava, che si sentisse in dovere di rammentarci o meglio di rammentarmi, perchè ero io, che non volevo mangiarlo, quanta fame avesse patito in quei quasi 5 anni di prigionia.
Il  mio papà nato nell'ottobre del 1924non  avrebbe dovuto partire per la guerra, ma uno zio era scappato nella vicina Svizzera, che era neutrale,  è stato preso  al posto suo ...il popolo doveva contribuire con la gioventù al conflitto bellico.
Diceva di non avere nemmeno 17 anni,  di essere stato portato dapprima a Como, allo stadio, siccome non aveva aderito alla Repubblica di Salò fu caricato subito su un treno.  Raccontava che i vagoni erano talmente stipati che chi periva, non cadeva rimaneva comunque in piedi, tanto erano pigiati.
 Diceva di aver viaggiato tre giorni e tre notti,  di essere arrivato in una stazione, per poi essere caricato su dei camion senza capire ancora, la destinazione ultima .
Arrivati nel luogo designato, si era trovato in uno spazio aperto pieno di baracche, il gruppo di Como radunato in una di queste, non capendo  cosa dicessero i tedeschi , e al grido " com com" tutte le persone di Como si sono fatte avanti, e lì,  ha sentito la prima sventagliata di proiettili .
Quando raccontava queste cose, lui un uomo rigido e severo, aveva gli occhi lucidi, e io,  stupida ragazzina, stanca di sentirle ripetere,  sbuffavo.....
Nel 2009 con mia sorella e Luisa, sono andata a Dresda e a Berlino, ho chiesto e voluto, andare a visitare un campo di concentramento, non senza polemiche,  da parte di  alcuni compagni di viaggio. 
Si è così deciso di prendere un piccolo pulmino da pagare a parte,  e un piccolo gruppo di persone ha partecipato.
Ho visitato il campo di Bukenwald , la nostra accompagnatrice mi aveva avvisato, sei sicura?,  mi diceva,  sei certa di quel che vuoi fare? È una cosa che lascia il segno,......



Mio papà era stato internato a Birkenau,diciamo una frazione ,un quartiere di Auschwitz e chi lo ha visitato racconta di una cosa immensa e tristissima .....


Buchenwald,  è un campo minore rispetto ad Auschwitz, ma sempre molto vasto, addirittura per i figli dei nazisti c'era lo zoo, abbiamo visitato per prima cosa, le sale dove facevano gli interventi, o chiamiamoli esperimenti, le autopsie , un freddo mi  attraversava  la spina dorsale, guardando,gli strumenti usati, che rispetto a quelli che oggi vediamo in televisione sembravano  antichissimi.



 Siamo entrati  nelle sale di disinfestazione che fungevano pure da camere a gas  dipendeva da quale era la scelta ....................disinfettare .....   o fare morire,  nelle sale dei forni crematoi,   lì si sente, anche se non dovrebbe, si percepisce, l'odore della morte, di quanto sia malvagio l'uomo, di quanto non abbia limiti nel decidere di sopprimere un suo simile.




Siamo saliti nei saloni dove le SS e i nazisti mangiavano (refettorio) enorme, grandissimo, ora pieno di tavoli/teche contenenti  bottoni,occhiali, dentiere ,apparecchi dentali  dei bimbi, ricordo particolarmente, un paio di ballerine di vernice viola, di una bimba piccola, le fotografie, tante,  per rappresentare quante brutture fossero state perpetrate in questo luogo.




Ho  pensato, a quanto bestie siamo, noi uomini, a cosa può portare il fanatismo, a quanto dolore arrecato senza un motivo, ho guardato mia sorella e senza dire parole, abbiamo compreso.
Quante cattiverie  deve aver visto e subito quel ragazzino, che poi nel tempo era diventato il mio papà, io parlo del mio papà, ma quanti altri come lui, ....
I  suoi momenti di debolezza stavano in questo recinto enorme, fatto dall'uomo a scapito di altri uomini , ho chiesto scusa pensando, stupidamente, che avrebbe potuto sentirmi, scusa perchè ero una ragazzina sciocca,  che credeva tutto fosse bello,  sbuffavo ai suoi racconti, la maturità serve a qualcosa, ma non ho trovato il modo di parlarne con lui.
 Mi chiedo come si possa, ancora dire che questi posti, non sono esistiti.
Il giro e continuato  nelle sale di lavoro ......venivano sfruttati e dovevano lavorare in condizioni fisiche disumane.
Siamo poi usciti, se fosse stato bel tempo, si sarebbe potuto visitare il perimetro con un pulmino ma purtroppo nevicava -
Ricordo quando mio papà,  raccontava che di notte andava a rubare le bucce di patate, dietro la cucina degli ufficiali tedeschi, rischiava la vita per delle bucce di patate, di quando sulla gavetta, galleggiavano insetti di ogni tipo, che soffiava via, e mangiava comunque tanta era la fame.
 Chi trasgrediva agli ordini, o cercava di scappare dal campo, veniva legato al palo come esempio,  moriva di caldo e sete durante la stagione estiva, di freddo e di gelo durante l'inverno, doveva essere di monito agli altri, erano crudeli torturavano senza alcuna remora.



Diversi  padiglioni  erano chiusi per la neve, per lo più dedicati alle famiglie delle SS con teatro interno e saloni per le feste.
Comunque per visitare solo il primo percorso ci sono volute 3 ore....

Nei negozi che ci sono all'entrata del campo, c'erano libri in tutte le lingue, ma non in italiano, altra discriminazione nei nostri confronti,  la nostra accompagnatrice, che era venuta con noi, vedendomi piangere così senza vergogna si era preoccupata che io non mi fossi sentita bene, in realtà io sono convinta che di aver fatto la cosa giusta, visitando questo campo, non so, se mai avrò la possibilità di visitarne altri, mi sono sentita vicino al mio papà come forse mai è successo,  parlandone con un amico ieri ho ripensato a lui, persona povera ma dignitosa, persona  particolare, ma che  aveva sicuramente una scusante, dopo tante brutture viste, 
Il mio papà non ha mai,  e poi mai, dimenticato quel che aveva visto, in seguito ad una ischemia, aveva avuto un calo cognitivo, spesso  dimenticava tutto, era anche confuso a volte,  e non aveva cognizione del tempo,  ma il campo non lo ha mai scordato, ultimamente ed ogni volta , che vedeva il fumo uscire da qualunque camino,  diceva  stanno bruciando prima le donne,  poi i bambini, il mio numero di matricola è 29333,  forse oggi tocca a me... 
Aveva ricevuto  la croce di guerra al merito, proprio perchè aveva patito una prigionia che non gli spettava
Questa volta il mio viaggio è fatto di ricordi, di  qualche rimpianto, penso ai battibecchi avuti,  li ricordo come una sorta di teatrino, che tutti e due recitavamo, gli volevo bene , anche se  non gle l'ho mai detto ma lui lo sapeva di questo ne sono certa ....









sabato 27 luglio 2013

I CASTELLI DI BELLINZONA

I Castelli di Bellinzona 


E' il mese di luglio...... un sabato mattina dalla stazione di Chiasso (CH) prendiamo il treno per Bellinzona, le amiche che mi accompagnano, lo fanno per me, non sono interessate ai castelli, partiamo alla volta della capitale cantonale, denominata la "turrita" perchè abbonda di torri, mura e castelli medioevali.
Da lontano si vede il Castelgrande, arrivati a destinazione imboccando viale stazione ci troviamo immerse nei vicoli e nelle piazzette della città vecchia, c'è anche il mercato, per cui c'è un po di confusione, in piazza del sole, non troviamo però l'ascensore che ci dovrebbe portare direttamente alla rocca,...... finalmente lo abbiamo trovato !!!! è nascosto nella parete rocciosa.....
Castelgrande è il più grande e la più vecchia delle tre fortezze di Bellinzona, si trova sul monte San Michele, nei secoli passati rivestiva un ruolo di importanza strategica, oggi è adibito a centro culturale, ed ha un museo che vale la pena di visitare, nel museo si trovano reperti e notizie sulla città e la sua collina, dal neolitico, fino ai giorni nostri. Il castello ha subito diversi lavori di edificazione ora da l'impressione di un grande spazio vuoto.
Saliamo sulle torri... dalla torre bianca con un camminamento si arriva alla torre nera e poi si ridiscende dalla salita di San Michele ci ritroviamo in un'altra piazza
la prossima tappa è il castello di Sasso Corbaro che da un'altezza di 462 mt troneggia sopra il Castelgrande e per questo motivo chiamato impropriamente Castello di cima
Il Castelgrande

Dobbiamo prendere l'autobus che porta al Castello di Sasso Corbaro e dalla fermata del pulman camminiamo ancora una 20 di minuti. Da prima in una stradina e poi in un sentiero nel bosco; Il panorama da qui è bellissimo, anche qui troviamo un museo etnografico, ma non entriamo, il tempo è tiranno, è una meta molto conosciuta e c'è parecchia gente. Nell'osteria prospicente si possono gustare le specialità della zona ( si fa x dire) .
Il Castello di Sasso Corbaro, è stato edificato nel 1479 su ordine del duca di Milano, costruito in 6 mesi, diversamente dalla altre opere di difesa, si presenta singolarmente isolato su ogni lato, nel passare dei secoli ha subito notevoli modifiche, e nei periodi di pace veniva adibito a carcere

il castello di Sasso Corbaro

Dobbiamo scendere per visitare il terzo Castello, situato a metà altezza, risale al XIV secolo ed è detto castello di Montebello. Ospita il museo archeologico cantonale, si scende in mezzo ai vigneti, qui si produce il vino Merlot, giunti a destinazione per prima cosa vediamo due ponti levatoi, la forma di questo castello è quella di un rombo deformato, le cui mura di cinta si raccordano a quelle della città. Restaurato recentemente, come il Castelgrande, ma in forma più contenuta, sembra sia stato costruito inizialmente da una importante famiglia Comasca, i Rusca, e poi ceduto al casato milanese dei Visconti, una cosa è certa e documentata, queste meraviglie sono state costruite ed erano proprietà Italiane, sono tre castelli riconosciuti dall'Unesco come patrimonio dell'umanità, facciamo un pic nic tra le mura e poi scendiamo verso la città, ci fermiamo a bere qualcosa in piazza
Castello di Montebello


Ritorniamo alla stazione, sono soddisfatta anche se un po stanca, abbiamo camminato tanto, sento brontolare la mia carissima amica Luciana, che mi dice la prossima volta .....dimmelo..... che vengo ancora ....... è piaciuto anche a me ----
Mi guarda e ridendo dice ma il prossimo giro si va al mare ..... voglio fare il bagno ...

Cronaca di una gita tra amiche.

fotografie tratte dal web.


Sargent

                        

Jonn SingerSargent

Ho visitato due mostre, la prima a Vicenza, a Verona la seconda. Durante le visite, ho avuto modo di vedere un solo quadro del pittore John Singer Sargent, un ritratto, di una madre e una figlia, che mi ha molto colpito.
Il quadro, ci spiegava la guida, fatto su commissione, è stato prestato dal museo di Boston, in occasione di queste mostre.


opera presente alle mostre

Non conoscevo questo pittore, in realtà in Italia e pressochè sconosciuto.




John Singer Sargent, è riconosciuto sopratutto come un raffinato ritrattista del bel mondo internazionale, amato e conteso da artisti ed intellettuali, politici.




Fu anche paesaggista, instancabile viaggiatore e sperimentatore di diversi stili di pittura.


 E' stato molto apprezzato e oggi rivalutato, dal mercato dell'arte, tanto che alcuni suoi dipinti, sono stati battuti nelle aste internazionali raggiungendo cifre da record, nel 1996, 11 milioni di dollari per un suo olio.






L'Italia lo ha visto nascere, a Firenze  nel 1856, da genitori americani, il chirurgo Fitzwilliam Sargent,e Mary Newbold Singer,
donna colta, amava l'arte e la letteratura, proveniva da una famiglia facoltosa di Filadelfia 



Di salute cagionevole, la madre cercava, luoghi con climi mediterranei, temperati, per poter dar sollievo ai suoi mali, volendo crescere in salute anche i propri figli.
Consentì a John e alle sue sorelle, di trascorrere l'infanzia, nelle più belle città europee, acquisendo una cultura e un carattere cosmopolita che influenzerà tutta la sua arte.



Il giovane Sargent cresce infatti, tra l'Italia, la Spagna, la Francia, la Svizzera e la Germania, parlando quattro lingue, coltivando la lettura, lo studio del pianoforte, e le arti figurative.
I continui spostamenti, se da un lato, creavano ostacoli alla sua formazione scolastica, dall'altro gli offrivano suggestioni impensabili, rispetto ad altri ragazzi suoi coetanei.
La madre lo ha sempre incoraggiato ad assecondare la sua passione per la pittura.


Nel 1866 conosce Violet Paget, la quale scriveva con lo pseudonimo, Vernon Lee, coetanea di John e figlia di inglesi espatriati, instancabili viaggiatori curiosi del vecchio continente
Divenne la compagna degli anni giovanili in Italia, delle prime riflessioni sulla letteratura, sulla musica e sull'arte, il rapporto e la stima reciproca che si instaura nei due ragazzi li accompagnerà sempre.


vernon lee


A Firenze, intorno al 1870, si iscrive infine all'Accademia di Belle Arti, decisione che lo porta presto a trasferirsi a Parigi, all'epoca,  indiscussa capitale dell'arte moderna.
Dal 1874 e' nell'atelier di Carolus-Duran, con cui instaura un profondo rapporto umano, oltre che artistico. 


Carlous- Duran




Diventa amico anche di Claude Monet … ed espone ai primi Salon
La sua permanenza parigina, il vero trampolino di lancio per Sargent, viene inframmezzata da viaggi in Italia, Spagna, Marocco, Tunisia. …





Con il ritratto di Madame X,  esposto al Salon nel 1884, si gridò allo scandalo, una spallina dell'abito da sera, veniva lasciata cadere con malizia lungo il braccio. 



Sargent  dovette  rivedere l'opera, suo malgrado,  due anni dopo dovette allontanarsi da Parigi.


madam X






L'amicizia con il romanziere Henry James


Henry James


gli apre le porte dei circoli culturali londinesi e proprio in Inghilterra comincia la riflessione di Sargent sulla pittura “en plein air”.


 a Venezia 

Inizia a produrre le prime opere di impronta impressionista e nel 1887 si reca da Monet a Giverny, anche se non si è mai definito un impressionista, pur essendo amico di Monet e Manet
mentre l'anno successivo, la sua prima mostra personale riscuote a Boston un larghissimo successo. 


in tirolo

in tirolo


Tornato a Londra, riprende di nuovo a viaggiare: Egitto,Grecia,Turchia, Siria, Spagna e ancora Italia. …


ragazza di Capri

Era un classico rappresentante, della cultura cosmopolita di fine secolo, pur essendo ormai il più celebre ritrattista della sua generazione, ricercatissimo e ben retribuito,era conteso dalle personalità del tempo sia in Europa che in America, le quali erano disposte ad attendere lunghi periodi e a spostare i propri mobili nello studio di Sargent, (perchè il pittore non si spostava), per avere un ritratto a valenza psicologica, fatto da lui.
Isabella Steward Gadner, pur di poter avere le opere di Sargent, gli allestì uno studio nel proprio palazzo, fatto costruire appositamente in stile veneziano per poter raccogliere le sue collezioni d'arte. 
Divenne la sua mecenate, tanto che, nella sala Gotica di questo palazzo, Gretchen Osgood posò con la figlia dodicenne Rachel, erano rispettivamente la moglie e la figlia  di Fiske Warren , industriale della carta.



Gretchen Osgood apparteneva ad una importante famiglia del Massachusetts, laureata ad Oxford con il massimo dei voti, colta e sofisticata, amante del canto, della poesia, e del teatro. Viene ritratta seduta su una sedia rinascimentale, con un abito di raso bianco e rosa, mentre la figlia le posa il volto sulla spalla sinistra e prende la madre sottobraccio, la tenerezza del gesto, il contatto tra madre e figlia e la somiglianza nel taglio degli occhi e il colore dei capelli.

Verso il 1896, intorno ai quaranta anni di età, Sargent decise di non ritrarre più personaggi importanti e appartenenti all'aristocrazia , rifiutando tutte le commesse che gli venivano offerte.
Un gesto che sarebbe stato impensabile per altri pittori, anche per i suoi stessi maestri, ma lui lo fece, iniziò a girare per L'Europa e l'America, ritraendo vedute e cancelli. Non faceva  schizzi, disegnava direttamente sulla tela con il colore e il pennello, quasi come un gioco,  dove l'uno e l'altro si sfidavano.
Molto interessanti sono gli acquerelli dipinti nel 1913 sul lago di Garda, per l'impostazione e il taglio dell'immagine.



Di grande valore, sono gli acquarelli realizzati nei periodi in cui si tratteneva a Venezia, mettendo in queste suggestive opere, le atmosfere respirate in Spagna.
Il quadro spagnoleggiante El Jaleo,



 che espone al Salon del 1882, con i colori neri, i grigi e i rossi descrivono la città lagunare, le sue calli buie, i suoi interni decadenti e le sue donne misteriose e inafferrabili.
In questo periodo la tecnica dell'acquerello è il mezzo più indicato per catturare e restituire in modo immediato, le sensazioni dell pittore. 
Venne proposto da Re Edoardo VII come "cavaliere" ma non essendo cittadino Britannico, non gli fu possibile accedere a tale carica. Ricevette però lauree ad honorem dalle più illustri università.



Si sposta di nuovo in America, incaricato di decorare la rotonda del Museum of Fine Arts, di Boston,  nel 1917 accetta di ritrarre Il magnate del petrolio John D.Rochefeller, 



ed il presidente della Croce Rossa, Woodrow Wilson.




Artista eclettico, amante della bellezza, il profondo istinto, traspare dalla sensibilità alla luce, che diventa la caratteristica di stile leggero, diretto, molto curato, nel tempo acquisisce una libertà di rappresentazione,la pennellata diventa vivace,  mossa, il colore diventa protagonista, il soggetto è accennato, incompleto.

 Sargent fu un artista, legato alla tradizione accademica del diciannovesimo secolo, venne deriso dalle avanguardie e dimenticato, amava definirsi :
"Un americano nato in Italia, educato in Francia, che parla inglese, sembro un tedesco, ma dipingo come uno spagnolo.
 Quanta storia, cultura, ricerche,  viaggi, emozioni dietro ad una tela  
  






















LA SETA

                                                 LA SETA

E' cosa conosciuta che Como e la sua provincia abbiano sempre vissuto di seta. Io stessa da ragazzina ho imparato il lavoro dell'orditrice presso una tessitura del mio paese, è un lavoro da certosini, dove il filo di seta arriva già finito, tinto, e trattato, pronto per essere lavorato, dall’orditoio poi  passa al telaio dove diventa tessuto, per cravatte, foulards, o seta per abiti.
Licia invece, mi racconta come nel suo casale la sua famiglia coltivasse i bachi da seta.
La mia nonnina ( io la chiamo così) mi dice: adesso non si coltiva più niente  hanno strappato tutti  i miei "moroni".... le piante di gelso con le cui foglie si alimentavano i bachi da seta.


Ai primi di maggio, nel pomeriggio dopo la processione, il curato benediceva in cotta e stola i cartoni di semente che la nonna portava alla balaustra dell'altare maggiore, erano foglie di gelso. si benediceva poi, la stampa del SS.Crocifisso dell'Annunciata di Como, una stampa non più grande della pagina di un vecchio messale che avvolta in un candido mantilo, conteneva qualche oncia di roba: erano minutissimi vermi, sottili come la punta di un ago, neri e fini come i semi del tabacco.  

Le donne anziane su quel brulicame  vegliavano: attente al colore, al moto,all'odore e traevano pronostici  sul futuro raccolto , con trepida speranza ....
Per permettere a questi vermi di diventare sani e produttori di bava, che poi diventava seta, la nonna, se li metteva in seno , e li trattava come una reliquia, si attardava a lasciare il letto per  le diverse mattine che seguivano, perchè il tepore del corpo serviva per far schiudere le larve .

Era la speranza che sosteneva Licia e la sua famiglia, nei mesi successivi. 
Le larve venivano poi disposte in locali appositi e poste su dei tavoli che non erano veri e propri  tavoli,  i bachi che si schiudevano diventavano filugelli, produttori di filo, detti " cavalieri"
Era un impegno notevole,  la "bigatteria" così venivano chiamate le stanze, doveva essere ben chiusa agli spifferi di aria e agli sbalzi di temperatura per cui si aprivano le finestre solo al bel tempo e si chiudevano tutte le finestre e tutti i buchi nei muri durante i temporali freddi, e a volte lividi di maggio.

Il pericolo più grosso era che i bruchi  si ammalassero di calcino (che Dio ce ne liberi) o di giallume, perchè morivano a migliaia.
(Giallume. Le larve si gonfiavano  diventando quasi trasparenti, la pelle così fine si screpolava procurando la morte della larva)
(Calcino. Eccesso di mineralizzazione delle larve, che in un primo momento si ricoprivano di striature rosse, di seguito sbiancavano indurendo, così che le larve non riuscendo più a muoversi morivano diventando rigide come gessetti da disegno)

La nonna e la mamma e le zie di Licia, coglievano il gelso  e lo tritavano fine come polvere, che veniva sfarinata sulla muta dei cavalieri piano piano, quasi come un vapore verde e leggero, le cimette giovani del gelso fresche e umide come nebbia,  nutrivano quei bruchi che in una quindicina  di giorni, un mese al massimo, sarebbero diventati tanto grassi, da occupare trenta quaranta graticci di canne, che venivano collocati uno sull'altro alle pareti,  in doppia fila in uno stanzone grande come il refettorio di una caserma.    
I "Cavalieri" la facevano da padrone sempre più ghiotti, esigenti, insaziabili, perchè dopo la seconda o più ancora la terza dormita crescevano a vista d'occhio e divorando a tutto spiano, giorno  e notte, le foglie di Gelso. Per mantenere la temperatura costante nei giorni piovosi, Licia,   con le sorelle e i cugini dovevano far provvista di legna per il focolare  e ventilare l'aria con grandi drappi, oppure controllare le finestre nei giorni di sole per evitare colpi d'aria......
Licia racconta di un odore nauseabondo, cha a volte lo stomaco ne risenntiva, ma se quel raccolto fosse stato poficuo avrebbero avuto un anno buono  a seguire.
Le donne dormivano poche ore non avevano più tempo nemmeno per sistemarsi, scarmigliate e spettinate come zingare, accudivano queste larve instancabilmente dando loro ora, foglie intere non più tritate.

La foglia intera veniva colta dagli uomini e dai ragazzi nei giorni di sole e messa in sacchi di iuta chiamati sacchi di  moggia aperti con cerchi di legno oppure durante i giorni di pioggia tagliavano i rami che mettevano sotto i portici ad asciugare.....
Negli ultimi,  giorni nello stanzone, un brusio ingordo riempiva il silenzio, i bruchi continuavano a mangiare senza tregua nemmeno di notte, la nonna, chiamata " reggiura" era la prima ad alzarsi e l'ultima  a coricarsi e quante volte interrompeva il suo sonno, una corsetta al buio, per vedere, regolare, e pulire sotto a quei mangioni,  gettare una manata di foglia in più ai più voraci a diradare i grovigli, a spiare se ne cadevano, o se ne morivano..
Quando non mangiavano più, sui graticci di canne si rizzava un finto bosco, erano mazzi di ravizzone, o cespugli di scoparia posti li per far si che tra gli steli si arrampicassero lenti, a decine di migliaia i cavalieri: cerniti, puliti, bianchi lucenti, oscillando lievemente, dalle loro mascelle che per tutto quel periodo avevano  mangiato foglie di Gelso ora usciva un quasi invisibile filo che si allungava, si sdoppiava, si  moltiplicava, per metri,  centinaia di metri.

Il bruco si includeva in questo velo leggero,che diventava sempre più fitto e dorato, in poco tempo diventava duro e compatto, la vita  del baco si spegneva, mentre dai rami mille e mille caldi bozzoli , soffici come piccolissime balene, preziosi come l'oro, pendevano nella penombra di questo stanzone, Licia ha visto piangere  di gioia le donne della sua famiglia.  Ora si doveva procedere al raccolto, ed’era un giorno di festa e di canti al casale del Ronco, bisognava avere mani decise ma delicate, le gallette stavano tenacemente attaccate ai rami con un  un filo bianco  che le avvolgeva si doveva star attenti a rompere solo quel filo, a non schiacciare il bozzolo, era un lieve sdrucio di seta lacerata,  poi questi  fragili bozzoli, di una lucentezza meravigliosa,  cadevano nei cesti che venivano ricoperti con una tela bianca casalinga, per poi venire caricati sui carri, e portati alla filanda, i Buoi trainavano il carro con passo lento e deciso, davanti al carro il nonno col papà di Licia, seguiti da tutta la famiglia vestita a festa, questa giornata era il rendiconto,  la posta  più alta di tutta l'annata....

La nonna, la "reggiura" prendeva intanto un'altro sentiero, si recava in chiesa,  davanti all'altare della madonna , donava un involtino con una decima delle gallette, era seta per la madonna che aveva benedetto i cavalieri,...................
Un dono in bozzoli portato alla Madonna da ogni contadino, dice la tradizione:
 Porta bene un manto di seta in paradiso.





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