il filo dei ricordi-racconti

sabato 20 luglio 2013

i miei genitori

I MIEI GENITORI

Si scrivono grandi parole sull’amore, si scrivono poesie in nome di quell’amore che si può manifestare oppure no; questa è la storia di due persone che si sono trovate sole, in una città diversa da quella in cui erano cresciuti. Lei una bella mora di appena diciannove anni con tanti capelli raccolti in una treccia, lui 23enne emigrato in cerca di lavoro dopo la seconda guerra mondiale. Lei si affacciava alla vita dopo aver trascorso la sua infanzia in un Istituto per orfani. Non aveva mai visto la propria mamma, l’unica occasione del loro incontro era stata il giorno delle sue dimissioni dall’istituto e si era trovata in grande imbarazzo perché non sapeva come approcciarsi con questa donna che per lei era un’estranea. Si era trovato un lavoro ed era sola per il mondo. Lui dopo la guerra, come tanti altri Italiani in cerca di lavoro, si era avventurato nella vicina Svizzera e, fermandosi a Berna, viveva con il fratello in una camera affittata, in una casa privata. La proprietaria, Frau Ingrid, controllava che i comportamenti dei giovani fossero moralmente decorosi e rispettosi. Sullo stesso pianerottolo, una camera più avanti, abitava la bella mora insieme ad una sua cara amica. Lei si chiamava Agnese e l’amica Adele. Lui si chiamava Roberto e suo fratello Italo. Agnese lavorava come stiratrice in una lavanderia industriale, Roberto faceva il barista, dapprima sulle vetture dei treni, poi in un bar della città. Adele e Italo lavoravano nello stesso ristorante, lui come cameriere e lei come cuoca. Pur abitando sullo stesso pianerottolo, dividendo lo stesso bagno in fondo al corridoio, così come la cucina comune al primo piano, Roberto e Agnese non si conoscevano, non avevano modo di vedersi perché avevano orari diversi. Italo e Adele, unici italiani del ristorante, avevano lo stesso giorno di libertà e ogni tanto condividevano un caffè o, nella bella stagione, una passeggiata per un gelato insieme. Adele era una bravissima cuoca ma non sapeva né stirare né cucire per cui chiese ad Agnese la cortesia di sistemarle un vestito per uscire il martedì con Italo, non erano ancora fidanzati ma il sentiero che stavano percorrevano era quello. Con una macchina da cucire a mano, 

Agnese sistema il vestitino e lo stira a dovere: quel martedì la sua amica Adele era molto carina. Italo si presenta all’appuntamento un poco sciatto e la sera dopo le due amiche, parlando tra loro in confidenza, decidono di fare in modo che quei pantaloni e quella camicia avessero più corpo. Agnese lava e stira pantaloni e camicia e li riconsegna a Italo che però il martedì successivo, si presenta a prendere Adele, con i pantaloni e la camicia ancora sgualciti, cadenti e stropicciati,non sono più in forma come quando erano stati consegnatii. Le due ragazze si chiedono come mai ma non ne vengono a capo. Intanto il tempo passa e finisce l’inverno, le giornate si allungano e qualche volta la sera Agnese va incontro all’amica al ristorante. Italo periodicamente le chiede di lavare i suoi vestiti della festa e poi anche quelli di lavoro. Una sera d’estate mentre Adele era seduta con Frau Ingrid in veranda vede rientrare un signore con gli stessi abiti di Italo. Chiede a Frau Ingrid chi sia e la donna risponde è il fratello di Italo. Ecco svelato il mistero, i due fratelli avevano un solo paio di pantaloni e una sola camicia, che tutt’e due utilizzavano nel giorno di riposo. Si è poi saputo che avevano anche un solo paio di scarpe nere che utilizzavano alternativamente. Roberto trova lavoro al Casinò Kursal club, come barista. Molte signorine che frequentavano il club non disdegnavano di corteggiarlo e lui non disdegnava la loro compagnia. Al Kursal ci andavano per ballare i giovani, ragazze e ragazzi. Una sera Adele e Italo invitano Agnese ad andare con loro, era una bella ragazza ma schiva, forse per via della vita sociale in Istituto per cui rimaneva spesso isolata e in disparte. Iniziarono i balli, molti la invitavano ma lei rifiutava, sebbene le gambe sotto il tavolo si muovessero da sole seguendo i ritmi della musica. Una sera però, dopo il lavoro, bussano alla porta di Agnese, era Roberto con in mano due paia di pantaloni e due camicie e chiese ad Agnese se poteva lavarli e sistemare. Erano per lo più da stringere: aveva acquistato dei pantaloni usati da un collega. Agnese prende le misure, inizia a stringere imbastendo e facendo provare i capi prima di cucirli poi li finisce e li porta in chimica a lavare. Consegna i capi a Roberto che promette di portare anche altri amici e così Agnese dopo il lavoro incrementa le sue entrate, per lei questo è molto importante perché così ha anche la possibilità di spedire qualcosa alla mamma. Sta di fatto che tra un orlo, una tasca da sostituire o il collo di una camicia da rivoltare tra Agnese e Roberto inizia anche un’amicizia. Quando possono con Italo e Adele, vanno a ballare o a fare qualche picnic lungo il fiume. Agnese dapprima molto chiusa, si appoggia a Roberto e, sempre con più frequenza, va con delle altre amiche al Kursal, dove lavora Roberto, e per farlo tribolare un poco, sporca di proposito il bordo dei bicchieri col rossetto. 
L’amicizia diventa affetto, l’affetto diventa amore, e iniziano a fare progetti, lei continua a fare riparazioni dopo il lavoro, lui riesce a diventare capo cameriere e mettono via dei soldi per il loro futuro, in previsione di un matrimonio, ma, Agnese rimane incinta e il 6 novembre del 1948 si sposano nella cattedrale di Berna senza parenti ma con qualche amico e pochi soldi fanno il pranzo nel ristorante, dove Adele e Italo lavorano. I regali ricevuti sono sei forchette, sei cucchiai, sei coltelli e un cesto di mele rosse, il 18 dicembre nasce Renzo, il primogenito. Dopo tanti sacrifici, Roberto, vuole tornare in Italia, cerca lavoro presso una casa di spedizione a Chiasso, lei sempre in una lavanderia a Lugano, hanno un’altra figlia Manuela e riescono ad acquistare il terreno per costruire la loro casetta…. iniziano però dei problemi di salute per la loro bambina e i lavori si fermano per far fronte alle spese. Allora fanno gli straordinari, lavorano a cottimo e, non si sa come, riescono a far a portare al tetto la casa ed anche a pagare le spese dell’ospedale perché il lavoro in svizzera non era coperto dall’assicurazione sanitaria. 


Nel gennaio del 1961 dopo una gravidanza strana, nasce Enrica, nata di sette mesi pesava un chilo e 350 grammi, è stata in incubatrice per 47 giorni, non ha unghie ma è piena pienissima di capelli, questo scricciolo non si può abbandonare. Agnese si licenzia dalla lavanderia e mentre accudisce la figlia lava a mano per la caserma della guardia di finanza che c’è in paese. Lava a mano per una comunità di 40 persone abiti civili e divise militari oltre ad accudire una famiglia di 5 persone. Agnese e Roberto, insieme riescono a terminare la casa e vanno ad abitarci. Intanto, con il latte materno, Enrica cresce bene e diventa una bella bimba. Dopo 5 anni Agnese rimane di nuovo incinta, ha 40 anni e un figlio di 18 e si vergogna della nuova maternità. Con l'età sopraggiungono anche problemi di salute e i medici consigliano un aborto terapeutico ma proprio Renzo, il figlio più grande, chiede alla mamma di non farlo. Le risorse dell’essere umano a volte sono inspiegabili, la gravidanza va avanti e nasce una bambina di kg 5,100, la chiamano Cinzia.




Sono cresciuti tutti, con tanti sacrifici in una casa povera ma dignitosa Agnese e Roberto con tante vicissitudini, malattie e sacrifici sono stati insieme tra alti e bassi ben 55 anni, si sono rincorsi anche nella morte prima lui e poi lei. Lui la cercava sempre, diceva: “Guai a chi tocca la mia Agnese” e l’ultimo giorno che si sono visti, lui in un letto di ospedale e lei nella sedia a rotelle, posta sul lato sinistro del letto, si sono guardati, si sono presi per mano e non hanno detto una sola parola solo si guardavano, due delle loro figlie non hanno saputo trattenere le lacrime, le ultime parole di Roberto sono state: “Ti ho sempre voluto bene e ora che sto per morire te ne voglio ancora di più”. Agnese e Roberto erano la mia mamma e il mio papà, non eravamo una famiglia perfetta, a volte litigavano di brutto, ma non sapevano stare lontano uno dall’altra. Non ho mai sentito chiamare amore nessuno dei due, ne tesoro, ne nomignoli strani, mai li ho visti in atteggiamenti particolari, solo, a volte la mamma, non lo sopportava più e gli diceva vai in paese, vai fuori dalle scatole, e lui naturalmente rispondeva, che nessuno doveva dirgli cosa fare… li vedevo fare conti e dividere quei pochi soldi, li ho visti ridere e ballare, ricordo la gelosia del mio papà per lei, e la gelosia per noi, ricordo le canzoni che cantavamo con la mamma, era felice davanti alla macchina da cucire, mi diceva “starei qui tutto il giorno “, guardava la tele facendo l’uncinetto, le sue mani tutte storte non erano mai ferme. Ricordo lui che andava a lavorare in moto, mai abbiamo avuto un’auto, d’inverno portava i giacconi che la mamma faceva e che foderava con le pelliccette dei nostri conigli che lei stessa conciava ma lui comunque metteva anche dei fogli di carta di giornale dentro il giubbotto per ripararsi dal freddo. D’estate quante cose facevano: lui andava a fare scorta di legna per scaldarci d’inverno, a raccogliere il fieno per i conigli e le galline, lei preparava le verdure sotto sale, la giardiniera per Natale, l’uva americana in solaio per l’ultimo dell’anno. A novembre venivano macellati i maiali: salami, prosciutti e pancetta nella nostra cantina e la carne nel nostro freezer non mancavano. Per Natale, venivano diverse persone a comperare, una gallina, un coniglio, un gallo, un tacchino e anche questo aiutava ciò che ora chiamano budget familiare. La mattina di buon’ora ci svegliavano e mentre noi tutti ci preparavamo mamma aveva fatto già la pasta in casa e papà aspettava mio fratello che tardava sempre ad alzarsi per andare al lavoro. Quando ero piccola, a volte i compagni di scuola mi chiamavano contadina, mio papà mi diceva che era meglio esser contadine che essere in giro con il naso all’insù, che se non ci fossero più contadini e allevatori o pescatori, anche le signorine “tu mi stufi”, morirebbero di fame. Sono diventati nonni e avevano qualche difficoltà a dire qualche nome dei nipoti Damiano diventava a volte Giuliano o Graziano e ci dicevano… ma che nome è? Ognuno di noi aveva un soprannome, mio fratello era Agnelli, perché aveva macchine grandi, mia sorella Emanuela perché amava vestirsi bene la chiamavano “Sue Ellen”, io “Mentina” perché ero golosa di caramelle e Cinzia “Pagnoschi” perché era ghiotta di pane. Forse l’amore è anche questo… poche parole tante litigate ma insieme e uniti, comunque, nelle avversità dela vita . Italo e Adele si sono sposati, erano i miei zii, Adele, l’amica di una vita della mia mamma, le univa la lontananza dalla propria casa, e dalla famiglia, le teneva unite la voglia di ascoltarsi e il fatto di voler bene a due fratelli sicuramente molto tosti 






4 commenti:

  1. non so quanto voi figli avete amato vostra madre,io penso che come sempre la riflessione della vita che ha condotto,con grande onore per il suo sacrificio lei che sapeva cosa voleva dire non avere una madre.
    sono venute in età adulta.
    Di mamma c'è ne una sola e la tua è mamma coraggio

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  2. Enrica ,,il racconto della tua famiglia è pieno di amore,rispetto e dignita',,è vero ci sono stati tanti momenti difficili ma l'amore ha superato tutto,l'ulimo episodio dell'ospedale è cosi carico di amore e d'intesa che ha unito x la vita queste meravigliose persone,che parla da solo,,sii sempre orgogliosa e ringrazia Dio x tutto questo bagaglio dita vera che anno lasciato a voi figli,,,,elisabetta,,,,,

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  3. questi ricordi li custodiamo gelosamente xche è una cosa preziosa buona serata da parte di gigliola

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