il filo dei ricordi-racconti

giovedì 31 gennaio 2019

Pieter Bruegel e la sua dinastia

 Pieter Bruegel e la sua dinastia 



Di Pieter Bruegel il Vecchio non si hanno notizie certe, i dati  del luogo dove sia nato, o la sua data di nascita, sono il frutto della ricerca del biografo fiammingo Karel van Mander. 
La prima  notizia certa è che nel 1551, si iscrisse alla corporazione di San Luca dei pittori, della città di Anversa e dato che l'età minima per l'iscrizione alla corporazione era dai  20 ai 25, si è ipotizzato che  fosse nato  intorno al 1525, forse nella  periferia della città di Breda. 



Ad Anversa, lavorerà come disegnatore presso un noto  mercante di stampe, Pieter Coecke van Aelst, anch’egli pittore, architetto, disegnatore di arazzi, e sopratutto persona molto colta. Essere iscritto   nella corporazione di San Luca era un  vanto, era un club di maestri artisti, un  elenco  vero e proprio delle persone importanti, della pittura fiamminga, il nome con cui si iscrisse era Peeter Brughels, anche se  in seguito firmerà le sue opere senza la lettera h.
Le prime opere di Bruegel, subiscono l'influenza del suo maestro Hieronymus Bosh,  i  soggetti  erano di fantasia  o personaggi tratti dalla Bibbia e dal Vangelo, pur  mantenendo  una  visione laica utilizza con forza i colori, le luci e le ombre per rappresentare  la  libertà dei valori morali,


giovanna la pazza 



talvolta in modo  crudo,  riesce a distinguersi  per la capacità di  rendere efficaci le pose, i movimenti e le fisionomie.

parabola dei ciechi

Nel 1552  raggiunse  la  Francia, da qui arrivò in  Italia,  soggiornò a Roma continuando  fino in Sicilia.


porto di Napoli


Come Durer, rimane affascinato dalla vista delle Alpi e dai paesaggi del sud della penisola.
Tornato in patria, riprodusse sulle  tele   dodici spettacolari vedute di montagne, conosciute come " I grandi paesaggi".









Come ho già detto le notizie  che abbiamo , non sono certe, sembra,  che Brueghel,  abbia vissuto con una domestica, una giovane molto bella, ma anche molto bugiarda, tanto da costringerlo  a  segnare tutte le sue bugie, facendo  per ogni bugia una tacca su una canna di legno.
Nel 1563, in cerca di maggiore stabilità, chiede di poter  sposare Mayken Coecke, figlia del suo ex datore di lavoro di Anversa  la futura suocera,  la famosa pittrice fiamminga  Mayken Vehrlust impone una   condizione, si deve trasferire a Bruxelles e allontanarsi dal fascino delle bella domestica. A Bruxelles frequenta i  circoli umanistici, entrando  in contatto con numerosi intellettuali e con ricchi committenti e mercanti di arte.
Realizza una delle opere più conosciute la "Torre di Babele",





 nel 1564 nasce il suo primogenito, negli anni successivi realizza grandi opere : la serie dedicata ai "mesi dell'anno",  il " Paese della cuccagna"



 ed il " Banchetto nunziale".




Era  solito andare fuori città e partecipare alla fiere travestito da contadino, per poter meglio osservare i soggetti delle sue pitture. In compagnia dell’amico Hans Franckert, si imbucava  ai matrimoni  come un invitato, dove ballava, mangiava e interagiva  con gli invitati raccogliendo scene da ritrarre nelle sue opere. 


il ballo della festa nunziale 

Se pur poco considerato dalla critica,  veniva definito " Bruegel dei contadini",


 perchè  raffigurava la realtà popolana in atteggiamenti poco pudici  e poco eleganti.


danza dei contadini 


ma  a Bruxelles lavorerà molto  e diventarà padre del suo secondo figlio Jan.
Il pittore muore,  a 44 anni, nel 1569,  venne seppellito nella chiesa di Notre-Dame de la Chapelle, a Bruxelles, città dove visse per quasi tutta la sua vita, i due figli erano piccoli, fu la nonna materna, che insegnò ai due bambini i primi passi nel disegno e nella  pittura. Pieter il giovane non avendo le qualità artistiche del padre, sfruttandone la fama, mise sul mercato di una serie infinita di copie di opere del padre, assicurandosi così una buona rendita e una maggiore diffusione.



Così  Pieter il Vecchio, morto giovane e senza seguaci, riuscì  a raccogliere un buon numero di allievi.  Ma come spesso accade per manovre puramente di commercio, vennero  messe in circolazione anche vere e proprie opere false  firmate da disegnatori e incisori. Il figlio minore invece si allontana  dalla scuola del padre,  Dipingerà  dal vivo piante  giunte dall’America, con diversi arbusti , nature morte, molto ricche, 





tanto che a volte per finire un'opera poteva passare anche un anno, dovendo attendere la nuova fioritura, Jan si dimostra anche molto abile nel riproporre sulla tela i tessuti, tanto da esser definito   “Bruegel dei velluti”, o Jan Velvet, oppure Jan Brueghel il vecchio.



Molti esponenti della famiglia Bruegel hanno seguito la passione per l'arte,  molti nipoti e pronipoti si sono distinti come validi pittori, tanto che si parla di dinastia dei Bruegel, i figli di Jan il Vecchio, Pieter III,  Jan il giovane e  Anna, sono stati pittori, Jan il giovane ha avuto  5 figli che diventeranno a loro volta pittori, e l'elenco potrebbe continuare...

.

venerdì 25 gennaio 2019

il Carnevale

  IL CARNEVALE 


Il carnevale, è quel periodo che sta in mezzo....In mezzo alla fine dell'inverno e agli inizi della primavera,  tra la fine del periodo freddo e l'inizio del risveglio della natura, è il periodo che  sta nel mezzo tra le feste natalizie  e   anticipa la quaresima. 
Il carnevale, ha origini antichissime, che lo legano ai grandi riti pagani:
LE DIONISIACHE GRECHE, erano nell'antica Grecia, celebrazioni  pagane dedicate al dio Dioniso, nel corso delle quali venivano messe in scena rappresentazioni teatrali tragiche e comiche.
Mentre nell'antica Roma, si festeggiavano SATURNALI:
Alcuni giorni di  festa dedicati al Dio Saturno, il dio dell'età dell'oro, quando gli uomini vivevano felici, nell'abbondanza di tutte le cose e in perfetta uguaglianza; durante i Saturnali  si festeggiava con convitti e banchetti, la ricchezza che la terra donava, per pochi giorni venivano sostituite le gerarchie sociali:  in pratica era un mondo alla rovescia, gli schiavi potevano considerarsi temporaneamente degli uomini liberi, e potevano comportarsi di conseguenza; veniva eletto un rappresentante, potevano bere e mangiare senza ritegno, disordinatamente;  era consentito abbandonarsi ai vizi, non mancavano le orgie e il gioco dei dadi, si festeggiava  anche con  ironia molto spesso in modo scherzoso. La festa si è diffusa in tutto l'impero romano fino al cristianesimo, è giunta fino a noi attraverso le tradizioni popolari, proprio perchè era cara a tutte le persone di qualsiasi condizione sociale.



Oggi il Carnevale è  associato  all' allegria, e il divertimento spesso è associato, a carri allegorici con imponenti sfilate, a moltissime maschere  che comunque da sempre rappresentano l'ambiguità....
il Carnevale, è da sempre il simbolo  della libertà di poter dire o fare  per pochi giorni quello che si pensa e che si vuole, perchè il viso di chiunque è coperto da una maschera allegorica... 
E' un evento che unisce il sacro al profano, prettamente simbolico, che è stato rappresentato nell'arte  da numerosi pittori dal Rinascimento fino ad oggi. 
Pieter Bruegel nel 1559,  ha rappresentato "la lotta tra il Carnevale e la Quaresima", nel giorno del martedì grasso, una lotta simbolica    un bellissimo quadro.


Sulla piazza di un paese del Nord, in una scena ricca di personaggi,  Bruegel il vecchio divide la scena a metà. A sinistra per noi che lo osserviamo, c’è il Carnevale, rappresentato da un uomo grasso, a cavalcioni di un barile, con in mano uno spiedo con polli infilzati

                                               


che  viene spinto da due altri uomini mascherati,




 diritto contro una figura femminile magra, smunta, che fronteggia lo spiedo del rivale con una pala, tenuta  come una  lancia, sulla quale sono due aringhe.





È la Quaresima, su un carro trainato da un frate e da una monaca. 
A sinistra si vede un’osteria, a destra una chiesa.
 I seguaci del Carnevale mangiano, recitano, suonano giocano ai dadi, gioco solitamente proibito :










quelli della Quaresima sono tristi, vestiti di scuro, votati al sacrificio, soffrono. 





Al centro della scena un buffone guida una coppia di spalle: lei porta legata in vita una lanterna spenta. 




In tutto il quadro sono sparsi poveri mendicanti, nell’indifferenza generale. E sono forse le figure più vere. 




In basso a destra una madre riceve l’elemosina da un uomo uscito di chiesa: è vestito di rosso e di azzurro. Quell’abito simboleggia il peccato di chi compie ipocritamente un atto di carità, davanti a tutti, per sentirsi a posto.




Il messaggio  è simbolico, è la gioia sfrenata,  dove il piacere raggiunge il livello massimo e ogni città lo ha rappresentato in modo personale,  dove gli abiti sfarzosi, le maschere elaborate ed eleganti hanno dato identità diverse e fantasiose,  ma ovunque si raggiungeva il limite massimo della gioia e del piacere nel martedì grasso, cedendo il passo alla Quaresima, dove  il re del Carnevale veniva ucciso, il suo carro  trionfale diventava il carro dei defunti, finivano le feste, iniziava il digiuno la penitenza e la riflessione per quaranta giorni tutto diventava impegno religioso.
La donna al centro della scena,  porta legata in vita una lanterna spenta, perchè  in quel periodo la religione era divisa tra Luteralismo rappresentato dal Carnevale e Cattolicesimo,  la donna sta in mezzo,  non prende parte ne alla  la festa  ne alla religione, 
la lampada rappresenta il popolo, sia nel divertimento che nella preghiera, noi sappiamo  che nella  vita, c'è posto per il riso e per il pianto, per la gioia e per ammettere i peccati commessi, sempre con  sincerità e riconoscenza per la vita, e allora  la lampada prenderà di nuovo luce.   
Abbiamo bisogno di tutto, riso e pianto, dolore e prove , di sesso e  amore, fiducia e attenzione, tutto questo scandito dalle tradizioni e spiegato in un quadro....
ringrazio un professore dell'università della terza età che mi ha così spiegato la rappresentazione  del Carnevale in questo quadro.



















lunedì 21 gennaio 2019

La Giornata della Memoria, e noi oggi anno 2019

La Giornata della Memoria , e noi oggi anno 2019


Si avvicina anche quest'anno, il 27 gennaio "la giornata della memoria", si avvicina per ricordarci quanto male abbiano fatto le persecuzioni del nazismo sulle popolazioni ebraiche, sugli oppositori politici, e le minoranze etniche. 
Si iniziano a sentire le voci, degli ultimi superstiti ai campi di concentramento, è brutto dire gli ultimi, me è così, gli anni passano e chi ha subito e vissuto questo delirio ci  stanno lasciando, rimangono le loro testimonianze, basteranno?
Questo è quello che mi chiedo, oggi è così difficile, vivere, tutti a fare la gara su tutto, proclami di giustizia che poi è giustizia? 



Equità che  ci viene sventolata sotto il naso.




Rispetto per i giovani e per gli anziani, ma i giovani non trovano strade in cui incamminarsi, solo una serie infinita di imbrogli legalizzati posti solamente a sfruttarli, gli anziani diventano quasi un'attività commerciale, da mantenere in vita il più possibile, magari in stati vegetativi, coi famigliari che devono lavorare sempre di più per poter raggiungere l'età pensionabile,  e così gli anziani vengono, molto spesso per forza di cose, portati in strutture dove chi dovrebbe svolgere il compito di assistenza non è preparato adeguatamente.



E poi ci siamo noi  tra i  50/60 anni, non sappiamo  a  quale categoria appartenere, non siamo  vecchi, non siamo giovani, siamo molto spesso esodati, chi ha dovuto interrompere il proprio rapporto di lavoro in conseguenza di accordi di ristrutturazione aziendale o crisi aziendali, un sottoinsieme di disoccupati, per lo più over 50, che si trova senza stipendio per lunghi periodi, siamo quelli che avrebbero dovuto maturare i requisiti per andare in pensione nel 2012, con possibilità di pensionamento dal 2013 in poi.
I diritti, tanto sventolati con le parole ci sono stati levati, dimenticando gli sforzi dei lavoratori per acquisirli....




La carità....non parlo di carità religiosa, parlo di carità umana, dov'è?  




Vediamo i governanti di un'Europa, che doveva essere unita, scaricarsi le responsabilità, come se giocassero ad una partita di palla a mano, in quella partita ci siamo noi esseri umani,  di qualunque categoria, e di qualunque colore della pelle.
 Non credo che rappresentiamo al meglio la giornata della memoria, non la rispettiamo  per nulla, in quei tempi, Hitler e Mussolini  dal  balcone di palazzo Venezia a Roma proclamavano sulla folla, oggi ci riempiono di twit, e di parole nelle tante emittenti, o in rete.
La memoria è labile, dimentichiamo molto spesso chi siamo, per diventare quello che NON siamo, e siamo sopratutto INDIFFERENTI.



Conta il potere, e il potere ce l'ha chi ha il denaro, siamo diventati aridi di cuore e di pensiero.... Dimenticando che un paese senza memoria, è un paese senza storia, ho molta paura che ci stiamo incamminando verso un percorso che è già stato seguito.
Ci sarà ancora voce per chi chiede che la carità non abbia religione, ma che sia una forma di educazione?
Dobbiamo rigraziare i testimoni di quegli eventi, per aver consentito di tenere vivo nella memoria ciò che è stato, non possiamo dimenticare e dobbiamo continuare a sensibilizzare, a educare i principi di eguaglianza tra gli eseri umani... 
Ci è voluto coraggio, ci è voluta forza, e sofferenza personale,  per rivivere ancora tanto dolore, per raccontarlo e denunciarlo, farlo diventare motivo di educazione, per le generazoi successive...
Speriamo che tutto questo non venga perduto.





domenica 13 gennaio 2019

VINCENZO VELA E LA SUA GIPSOTECA


                                                                                                            VINCENZO VELA E LA SUA GIPSOTECA 

A pochi chilometri da casa mia,  presso Ligornetto, un paese nella vicina Svizzera,  in un splendore bianco di gessi e marmi, le opere di Vincenzo Vela e degli altri esponenti della famigli sono esposte, l'audio guida mi informa,  le schede illustrative presenti in ogni sala completano le informazioni. 
 Appena entrati, rimango stupita e con me,  chi mi accompagna, lo stupore che ci accomuna  in alcune sale è grande.
Questa è la casa di Vincenzo Vela, che quando era in vita, lo scultore stesso, ha deciso di convertire la sua casa,  in museo e lo ha donato alla sua  cittadina.





Le sue stupende statue, sono elevate  su essenziali piedistalli bianchi, le pareti, le volte, tutto è candido. 
Nella sala prima sala al centro ci accoglie  Spartaco, che digrigna i denti per la libertà, 




 alla nostra destra un'opera struggente e veritiera, sembra sia stata concepita di recente tanto è attuale, 
Le vittime del lavoro....







Dal WEB:
Il 23 maggio del 1882 veniva ufficialmente inaugurata la Galleria ferroviaria del San Gottardo. Era una delle più importanti conquiste tecnologiche del tempo: si trattava del traforo ferroviario più lungo del mondo, un tunnel di quindici chilometri e tre metri che scorreva tra le viscere delle montagne svizzere, sotto al passo del San Gottardo, per unire i due borghi di Airolo e Göschenen, il primo nel canton Ticino e il secondo nel canton Uri, consentendo alla Svizzera di collegarsi al resto d’Europa.
Per il completamento dei lavori ci vollero 10 anni, anni difficili per le diverse difficoltà tecniche, che provocarono parecchi ritardi, le condizioni dei lavoratori erano molto dure senza alcuna sicurezza. Si trattava di operai quasi esclusivamente italiani, all’incirca il novantacinque per cento della forza lavoro impiegata al Gottardo, per lo più provenienti dalle aree rurali povere del Piemonte e della Lombardia. Nella Galleria del Gottardo si lavorava ventiquattr’ore su ventiquattro su tre turni, ma in condizioni estreme e molto difficili. Ogni giorno, circa ottocento operai per ogni turno trascorrevano otto ore al buio e al chiuso, senza poter vedere la luce naturale neanche per un minuto, tra la polvere e le esalazioni causate dalle macchine adoperate nei lavori di scavo. La temperatura all’interno del tunnel oltrepassava spesso i trenta gradi, e talvolta sfiorava i quaranta, la scarsità dei servizi igienici provocò il diffondersi di malattie, molti operai, a causa della proliferazione di parassiti, si ammalarono di anchilostomiasi, una patologia da allora nota anche come “anemia del Gottardo”, e gli alloggi erano scarsi e fatiscenti.
Vincenzo Vela ha ben rappresentato in quest'opera lo sfruttamento e la morte dei lavoratori....




La  sala centrale ottagonale è altissima, il  monumento equestre del conte di Brunswich, ci colpisce,  poi tutto intorno si  raccolgono i busti degli esponeneti del risorgimento italiano: 


  



Uno stupendo Conte di Cavour  rilassato sulla poltrona, ha però un  piede in parte sollevato.



 Statue  femminili, allegoriche come Italia e Francia,


Italia riconoscente alla Francia 

 Vittorio Emanuele II, 



Garibaldi. 




Le sale si snodano, uno dei  pezzi che veramente colpisce è Napoleone morente, o meglio il gesso degli ultimi momenti di Napoleone I, l'opera trasmette la mancanza di energia, l'abbandono umano, il corpo sfinito di un uomo che ha perso tutto, un  uomo stanco e malato, assorto nei pensieri. 
Sul volto i pochi capelli umidi di sudore, scendono  sulla fronte ampia, le guance scavate lo sguardo perso. 




Alcune stampe legate al mito Napoleonico sono appese alle pareti.
 In questa sala non poteva mancare il busto di Dante Alighieri, 
 di Torquato Tasso....ma non solo, qui troviamo anche un'intellettuale politico liberale ticinese, che ha promosso l'istruzione pubblica laica nel cantone, Stefano Franscini presentato frontalmente, avvolto in un mantello, con i libri e gli incartamenti  hanno rappresentato la missione in cui credeva. 



La sala dei giochi è situata in quello che era il salotto di casa Vela, ad adornare il camino, Vincenzo Vela esegue una scultura tra le più seducenti del suo repertorio, il nudo femminile diventa protagonista....la testimonianza di affrontare il nudo femminile con risultati  di grande effetto.



In questa sala troviamo una  scultura di genere che rappresenta una bimba che gioca col cane, si tratta di Leopoldina d'Adda.




Ma  ci ha veramente stupiti:
La preghiera del mattino, un'opera commissionata a Vincenzo Vela dal grande collezionista d’arte, Giulio Litta,  che  in quell’occasione lasciò la libertà  al giovane  di sceglierne il soggetto,  sicuramente la fiducia è stata l'elemento che ha reso il  risultato finale un successo, una scultura  stupenda, un capolavoro giovanile dello scultore, dove l'intimo e la naturalità, si scambiano.
La scultura rappresenta una bellissima ragazza, tutto è dettagliato con cura particolare: dalla posa morbida, inginocchiata su un cuscino, che si accinge a recitare la prima preghiera della giornata, dalle guance lisce del viso, il tessuto morbido della veste, la copertina del libro di preghiere, le  ciocche di capelli  ancora spettinati che ricadono sulla spalla, tutto trasmette una sensualità involontaria.







Verso la metà del XIX secolo, prendeva piede la  “scuola di Milano”, sostenuta da collezionisti d’arte contemporanea come  Giulio Litta e CarloTenca, che  apprezzarono da subito le qualità della nuova generazione di scultori, i quali che volevano uscire dalle gerarchie delle accademie, che volevano rappresentare la quotidianità. 



Importanti  i monumenti funebri, 


monumento di Gaetano Doninzetti

Maria Isimbardi D'Adda ad Arcore 

ma in  questa sala, la fa da padrone la scultura di un bellissimo Ecce homo,  dove traspare la sofferenza di Cristo, un uomo sofferente, molto distante dalla rappresentazione divina, l'ecce Homo è il monumento della tomba della famiglia Vela nel cimitero di Ligornetto.




Vincenzo Vela nasce in un villaggio ticinese nel 1820,  si trasferisce presto a Milano, come apprendista scalpellino, frequenta l’Accademia di Belle Arti di Brera a partire dal 1835, seguendo corsi sia di scultura, sia di pittura. 
Inizia  il suo percorso artistico, subisce  l'influenza dalla pittura romantica di Hayez e inizia la sua carriera come scultore. Sebbene abbia  una produzione  consistente, gestiva ben tre botteghe a Milano per far fronte alle richieste, la critica però non apprezzava  per il suo spirito ribelle, combattente nel risorgimento, scultore accademico ed eversivo.




Vincenzo Vela, è stato un uomo che ha vissuto il suo tempo, si è impegnato sia come artista che come patriota. 
Oggi è considerato uno dei più celebri scultori del secondo Ottocento,  nella sua gipsoteca, che ci ha sorpresi  per la  monumentalità,  raccoglie i modelli originali in gesso di quasi tutte le sue sculture. 
Si possono ammirare i bozzetti in terracotta e gesso, anche delle opere che  non sono state accettate, notevole anche la biblioteca di famiglia, che avvalora più di 1000 volumi tutti sistemati in mobili d'epoca. Il museo conserva i lasciti dello scultore Lorenzo Vela, e del pittore Spartaco Vela



figlio di Vincenzo, una  serie di quadri ottocenteschi  di pittura Lombarda, alcuni di Gerolamo Induno,






e di pittura  Piemontese , oltre ad   una sorprendente raccolta di fotografie d'epoca che viene considerata tra le più antiche collezioni svizzere di fotografia.