il filo dei ricordi-racconti

giovedì 6 novembre 2014

IL TARTUFO

E' autunno le foglie cambiano colore, sui tralci tanti grappoli d'uva poi le foglie cadono e insieme a loro cadono anche i ricci pieni di castagne, nei boschi c'è vita, rumori di rami spezzati, fruscii di foglie spostate, voci di bimbi e di adulti, cesti pieni di frutti che la natura ci regala, castagne, noci, funghi e tartufi.


Non ho mai visto un tartufo da vicino ne ne ho mai assaggiato.
Mi rendo conto della mia mancanza e per il momento mi informo poi chissà mai che in futuro magari potrò assaggiarlo.

       

                                                                                                       

Ha tradizioni antichissime il tartufo, lo usavano i Sumeri che lo mischiavano con orzo, lenticchie e ceci, i greci, i popoli arabi, e naturalmente dai popoli latini. Plinio il vecchio, naturalista convinto, aveva coniato questa definizione:
Il tartufo sta fra quelle cose che nascono e non si possono seminare.
Fino a che la scienza non ha saputo dare risposte precise sulla crescita di questo tubero, diverse erano le versioni di credenza popolare, che suscitava lunghissime discussioni, in alcuni periodi si temeva fosse pericoloso e velenoso, per questo definito cibo del diavolo o delle streghe.



Nonostante le dicerie però l'uso nelle cucine non venne mai limitato e divenne anche un regalo pregiato da donare ad ospiti illustri.
Nel 1700, in Piemonte, si faceva grande uso del tartufo bianco, imitando la corte di Francia, considerato da tutte le corti d'Europa l'aglio del ricco, per il sapore agliaceo che emana.
A quei tempi se ne trovavano in grandi quantità, tanto che a Torino, i sovrani italiani invitavano, ospiti nobili di rango prestigioso, ambasciatori esteri, i quali potevano assistere o partecipare alle battute che organizzavano per piacere.


Si iniziò ad utilizzare i cani che grazie al loro olfatto si dimostrarono validi collaboratori nella ricerca del tartufo.
Venne utilizzato come dono di riguardo, sin da tempi molto antichi dal web:
Sant'Ambrogio ringraziava il vescovo di Como, San Felice, per la bontà dei tartufi ricevuti.
Ma ha lusingato tantissimi esponenti della nostra storia
Il Conte Camillo Benso di Cavour nelle sue attività politiche utilizzò il tartufo come mezzo diplomatico, Gioacchino Rossini lo definì "Il Mozart dei funghi", lord Byron lo teneva sulla scrivania perché il suo profumo gli destasse la creatività, Alexandre Dumas lo definì il Sancta Santorum della tavola. (fonte web)


Ma anche nel nostro secolo, il tartufo ha giocato un ruolo importante. Fu un albergatore, Giacomo Morra, che cominciò denominando il tartufo bianco " Tartufo d'Alba ", fu il primo ad intuire quanto potesse essere importante il tartufo in una zona come le Langhe, promuovendo il tartufo, promuoveva tutti i prodotti della zona, vino, carni, formaggi, nocciole e torrone.
Nei primi anni si appoggiò alle feste annuali vendemmiali ma nel 1930 diventava la Fiera dei tartufi d'Alba.
Sviluppando tutto il suo sapere, fondò una scuola pratica di cucina, attraverso lunghi tirocini si apprendeva l'arte del cucinare, e si acquisiva la patente o il diploma di chef, inventando o riproponendo piatti antichi della tradizione delle Langhe e di Alba in particolare. Un personaggio che ha fatto del tartufo la propria bandiera, nel suo albergo e ristorante son passati politici, scrittori, personaggi importanti, turisti buongustai di tutto il mondo.
la stampa inglese già nel 1933 mandava inviati per conoscere i Tartufi e descrivere ampiamente la Fiera ed un giornalista del Times scriveva nel novembre del 1933 sul suo giornale: le Langhe producono i tartufi bianchi d'Alba, i più profumati ed i più rinomati del mondo e quando nel 1936 un giornalista italiano chiese a Giacomo Morra perché il Tartufo d'Alba è il migliore del mondo, rispose con disarmante semplicità: " lo chieda al Creatore!".
fonte web


La storia di questo uomo, figlio di un mezzadro, che con l'impegno e non poche difficoltà, da oste diventò ristoratore, inventando parecchi antipasti, poi albergatore, e commerciante di tartufi bianchi di Alba, e neri che si faceva spedire da Norcia, per servire il mercato francese, studiò fino a quando scoprì il modo di conservarli, riuscì a raggiungere gli Stati Uniti con tartufi freschi e conservati..
Era l'ambasciatore del tartufo italiano nel mondo. Definito come il Re dei tartufi, seguendo l'esempio i regnanti nei secoli precedenti, che lo utilizzavano come dono diplomatico, Giacomo Morra decise di regalare ogni anno un grosso tartufo a uomini potenti, oppure a grandi artisti nel mondo.
Quello che non sapevo è che, proprio nella vicina Svizzera, a pochi km da casa mia, vi è il territorio idoneo per la crescita di questo particolare fungo.



Dal monte San Giorgio, (definito anche Monte dei Sauri, dagli studiosi dei fossili che lo definiscono un scrigno di tesori, visto i reperti di pesci e fossili marini lunghi anche sei metri, che sono stati ritrovati), fino al monte San Salvatore, che domina Lugano,
si trovano tartufi che non sono inferiori ne come qualità ne come profumo al famoso tartufo d'Alba.
La particolarità di un terreno calcareo unita alla vegetazione di latifoglie consente la crescita, e proprio un italiano di origine marchigiana ne ha fatto la sua professione. Fin da piccolo andava con il nonno per boschi alla ricerca del " diamante nero".
E proprio grazie a quest'uomo che il tartufo Svizzero, dal 1986 fino ai nostri giorni è stato venduto e riconosciuto nel mondo, offrendo tartufi freschi, che ricerca personalmente con l'aiuto del proprio cane.



 Il profumo che è la caratteristica del tartufo, è penetrante e persistente, e si sviluppa durante la maturazione lo scopo naturale è quello di attirare gli animali selvatici, cinghiali, maiali, tassi, ghiri e volpi, che spargeranno le spore che servono per continuare la crescita e la specie.


In Ticino crescono le quattro migliori specie europee di tartufi neri, anche se in questa zona la ricerca del tartufo e al momento solo amatoriale.

Ora devo solo assaggiarlo chissà che non mi cucini un piatto di tagliatelle al burro con tartufo e ...... buon appetito.



domenica 2 novembre 2014

IL MINIGOLF E LA S.L.A

Già in altre occasioni, ho avuto modo di vedere che il gruppo del minigolf non abbandona gli amici in difficoltà, lo fanno periodicamente con un ex giocatore ora ammalato, che non può più giocare, recentemente, hanno iniziato a programmare delle cene che loro stessi preparano...
Tigelle e gnocco fritto, un'altra volta poi spaghetti allo scoglio e fritto misto, fagioli alla texana.
Ho partecipato alle ultime due cene, oltre ai soliti giocatori che ormai conosco, ho visto una famiglia nuova, una bella signora bionda con due figli bellissimi e il marito. E' un bell'uomo, anche se è ammalato, ho scambiato solo il saluto con lui, osservo le attenzioni di sua moglie nei suoi confronti, l'accoglienza che tutti i suoi amici, gli riservano, le battute col bambino, alcuni sono molto presenti, penso che abbiano sicuramente alla base un rapporto speciale di amicizia.


Ha due occhioni azzurri, che girano e osservano tutto, qualcuno mi ha detto che la S.L.A. (Sclerosi laterale amiotrofica) lo ha colpito, ho pensato perchè?, mi chiedo perchè ad un padre di famiglia giovane? Perchè? Perchè?
E' seduto su una sedia, la figlia lo abbraccia, ride con i suoi amici, poi lo accompagnano di fuori all'aria aperta.
Parliamo di torte io e la moglie, mio figlio ha farcito il mio pan di spagna e ho fatto bella figura, ma il merito non è solo mio.



La volta successiva mangiamo all'interno, inizia ad essere freddo,
fagioli alla Texana, 



la signora ha fatto le tartine con il lardo e miele e altri antipasti, forse per lei è un piccolo svago,



 per lui è sicuramente integrazione, alla televisione c'è una partita, lo hanno messo a capotavola, gli occhi si spostano velocemente in base ai movimenti della palla sullo schermo, mentre viene aiutato dalla moglie ad alimentarsi e tra una boccata e l'altra ride con i suoi amici.



Scusate la parola, ma la natura è bastarda, e la vita è vigliacca,  non dovrebbero andare così le cose, non è così che dovrebbe funzionare.


Poi una domenica mattina, la telefonata di Riki:
"E' in terapia intensiva, non sappiamo nulla.......
Nessuno ha più gioito al minigolf, qualunque punteggio, qualunque vittoria, non avrebbe avuto senso.
Ci siamo tenuti informati con chi gli era più vicino.
Pochi giorni dopo, è venuto a mancare.
Si era pensato di invitarli a casa mia prossimamente, insieme ad altri, perchè purtroppo sono tanti e tutti in casa non ci stanno, abbiamo sbagliato ma non pensavamo ci avrebbe salutato così in fretta, ho nella mente l'immagine di un uomo abbracciato dalla figlia con accanto l'altro figlio e una donna speciale, sua moglie.

Lettera aperta ad un uomo

LETTERA APERTA AD UN UOMO.

“Per star bene abbiamo bisogno degli altri, e dobbiamo impegnarci a cambiare.

Per questo frequento un  centro multidimensionale, confrontandosi con gli altri si impara a lasciare quel che fa male e mantenere una distanza da chi ci fa stare male. Ognuno di noi ha il suo fardello, ma nella condivisione si comprendono cose che forse non si riescono a spiegare, non si dimenticano i dolori, le cattiverie, e gli errori, bisogna impegnarsi per continuare e passare il sottilissimo confine che ci permette di essere diversi, forse migliori, o semplicemente più umani.

In una recente occasione, una persona che malgrado il continuo interesse nei suoi confronti,  non interagisce con noi, chiudendosi dietro lo scudo della depressione,  si è alzato lasciandoci tutti molto sorpresi.

Sembra un uomo schiacciato da un problema, in difficoltà nel guardare negli occhi gli altri.

Lo esortiamo ad impegnarsi di più, chiediamo che ci racconti la sua settimana. Come passa le sue giornate, quale sia stato il suo stato d'animo Non ci da alcuna spiegazione, se non che si sta ripresentando la depressione.

Qualcuno chiede se è dovuto a qualche motivazione specifica, forse anche il cambio di stagione può aver influito, con una citazione viene esortato a risollevarsi, e la sua risposta seccata è che la depressione è ciclica e chi non la provata non può sapere.

Ho pensato a questo tutta la settimana

Ognuno di noi, è qui perchè ha avuto un percorso, non facile alle spalle, viene qui per esternare, per capire quello che gli è sfuggito, per migliorare ma sopratutto è qui per impegnarsi.

Davvero, sei così convinto che qualcuno di noi non sappia cosa sia la depressione?

Certamente ognuno sente il proprio malessere, mi sembra egoista da parte tua, pensare di essere l'unico che ha una sofferenza, la quale ti mette in difficoltà nell'impegno intrapreso.

Ognuno di noi, ha dei percorsi alle spalle, fatto di occasioni mancate, di dispiaceri, e di umiliazioni...a volte quotidiane.

Davvero credi che affrontare una nuova giornata per gli altri sia tutta una passeggiata o come direbbe qualcuno credente una “Pasqua”?

Chi è finito su una sedia a rotelle, e ha trovato la forza di ricominciare, avrà avuto i suoi momenti di debolezza, di paura di non farcela.

Chi ha figli, viene messo alla prova con critiche, rinfacciamenti ogni giorno.

Qualcuno di noi, ha alle spalle un percorso,veramente difficile, paga lo scotto dei propri errori, vive in un luogo che non è il suo, con gente che non conosce e che cambia continuamente.

Chi ha figli, con problemi seri di malattia, che non ha supporto di nessuno, se non la voglia di non arrendersi e di migliorarsi la vita giorno per giorno con poco...

Non conosciamo i tuoi problemi, perchè tu non ce ne fai parte attiva.

Non so se ho capito bene, ma ho l'impressione che tu abbia persone presenti nella tua vita, che non ti lasciano solo, e in più tu,  hai la fede  che ti supporta..

Dico la mia impressione,che non è una critica, mi spiace veramente vederti così, e sentire che ricadi periodicamente, naturalmente non sei tenuto a credermi.

Aver visto che ti alzavi e te ne andavi, come se le nostre motivazioni, non avessero interesse da parte tua, anche se sei giustificato dal tuo malessere, mi ha lasciata perplessa, la mia riflessione, credo che riguardi tutti i presenti.

Qui ci sono persone che hanno problemi, tutti i santi giorni, che affrontano la giornata, con coraggio, ti chiediamo solo di impegnarti.

Ma non a parole, con i fatti, con un impegno serio, perchè malgrado la tua inflessibile distanza, che continui a mantenere,

noi teniamo a te.

Non alzare un muro fatto di distanza, chi meglio di te, sa come sia importante una mano tesa con amicizia, non chiudere la tua in un pugno.

Tu che ci parli  di valori superiori, sai molto bene, cos'è l'amore incondizionato verso gli altri, fanne buon uso, che diventi, motivo per te e per chi si rivolge a te, di un atto di fiducia.



                                       Auguri Enrica

giovedì 30 ottobre 2014

Peter Ilsted

PETER ILSTED

Mi sono imbattuta per caso in un quadro di Carl Vilhelm Holsøe , mentre cercavo informazioni, scoprivo un altro pittore, Vilhem Hammersoi, e infine il terzo artista, Peter Ilsted.


Non ho trovato moltissime informazioni, su questo pittore, frequentò la Reale Scuola Danese di belle arti con Holsoè e Hammersoi, con  la prima esposizione che 
fece nel 1883,  gli fu  offerta l'opportunità di     accompagnare il conte Reventlow di Braheborg nel suo viaggio in Italia




e in Medio Oriente, grazie a questa conoscenza,  il giovane pittore ha avuto l'opportunità di una visione dettagliata del mondo arabo.
In un acquarello descrive la scena di lettura in una madrasa al Cairo




                       


                                                               
Viaggiò anche in  Francia e Gran Bretagna, Belgio e Olanda.
Nel 1889 ha fondato la mostra " nel mondo" a Parigi, l' anno successivo con gli amici Hammersoi e Holsoe, fondarono la società di arte progressista che nel tempo venne riconosciuta come la " Scuola Danese di Interior Painting", venivano rappresentati interni di case, dando però maggior importanza alla luce.


                                                   
     
Peter Ilsted, è  stato riconosciuto anche come incisore e grafico, molti sono i riconoscimenti che ha avuto in questo campo.

dalla terrazza di Villa d' Este Cernobbio (Como)

La sorella di Peter Ilsted, Ida, ha sposato Vilhelm Hammersoi nel 1893, amico fraterno, che è stato  sicuramente  ispirato e  influenzato dallo stile del cognato, già popolare a quel tempo.


A prima vista le opere di uno, non sembrano scostarsi molto dalle opere dell'altro, Ilsted, pur mantenendo sempre le stesse connotazioni casalinghe,
ritrae per lo più i componenti di una famiglia, 


sembra prevalga la normalità quotidiana, meno studiata, più semplice, 


rappresentando la luce che filtra a caduta dalle finestre, in case poco arredate. 


Sono opere dove traspare il senso di pulizia, mentre le donne, sempre rappresentate di spalle, danno la percezione di essere indaffarate

  

il silenzio viene percepito come pace e tranquillità, si poi si passa alle rappresentazioni di bambini,

           

qui il messaggio dell'opera cambia sembra di sentire il vocio sommesso dei
bambini 


Mentre i quadri di Hammersoi, sono austeri, si trova  una solitudine indecifrabile, è presente l'ordine, spesso una sola persona, nell'insieme si ha una sensazione di distanza.
In fondo la vita dei due pittori era diversa, Hammersoi non aveva figli, Ilsted aveva 3 figlie e un figlio, si era sposato con la figlia di un farmacista, il matrimonio durò 41 anni, morì a 72.


                                                         
                                                                     
Aveva come dono di natura, il senso della tecnica sia nelle opere che dipingeva,  che nelle incisioni.
Per acquisire la metodologia della maniera nera o mezzatinta, si era recato in Inghilterra, dove la tecnica veniva usata nel 17° secolo. Con originalità ha ripreso ed elaborato, e rappresentato molti soggetti dei suoi quadri.



 La sua capacità era quella di sfruttare le sottili gradazioni tra le ombre e la luce brillante, che viene ripresa sulle superfici in cui essa si poggia, tanto da dare l'impressione di essere in una stanza utilizzata.




Lo stile retrò di Ilsted, richiama molto i dipinti di Vermeer, ma i colori tenui, sono spesso associati ad Andrew Wyeth, probabilmente i due artisti, non erano a conoscenza l'uno dell'altro, essendo contemporanei ma geograficamente distanti.





Nella sua vita ha ricevuto notevoli riconoscimenti in Patria, espose le sue opere, anche in buona parte d'Europa, a Londra, in Germania e presso il Salone de Parigi, dove i media europei rimasero colpiti non solo dalle opere di tutti e tre i pittori, ossia della scuola di 
interni Danese, ma dalle stampe d'arte in cui Ilsted aveva raggiunto livelli molto elevati, come incisore.


Dal dopoguerra in poi, però questi tre artisti, molto ben considerati in Patria, in Europa sono stati dimenticati, solo negli ultimi decenni, con alcune retrospettive a New York, in Francia e attraverso percorsi tematici, anche in Italia, hanno rispolverato, i loro successi, per consentirci di vedere un insieme di tante cose, che rendono questi lavori speciali.



giovedì 9 ottobre 2014

LE CANTINE DEL MENDRISIOTTO


E' autunno iniziano a cambiare i colori, mentre mi reco al lavoro, nei paesi della zona del Mendrisiotto, stanno vendemmiando l'uva che diventerà vino, vitigno di uva Merlot.


Io, astemia per scelta e convinzione, demonizzavo il vino in quanto causa di problemi, in caso di abuso.
Una persona mi ha fatto veder l'aspetto da un'altra angolazione e, devo ammettere che saper coltivare la vite e produrre un buon vino è un arte, per cui ho cercato di documentarmi un po


Questa zona, è considerata Terra di vite, e di vignaioli, di cui Mendrisio ne è la capitale, qui la viticultura, è la civiltà dei tralci e del vino, con le antiche cantine, che sono i luoghi adatti alla conservazione.
A Mendrisio, Salorino, Capolago, ma anche ai piedi del Monte Generoso, le cantine, si raggruppano e si sostengono, formano intere vie, che ne prendono il nome.



Sono grotte temperate, in cui il vino si conserva in modo ottimale, una targa posta nelle cantine di Mendrisio è datata 1724.
Sono state definite, nel corso dei secoli, da poeti, e scrittori autorevoli, " Le celle di bacco". Costruite ai piedi di frane di grossa entità, per mantenere una temperatura costante, sfruttando le correnti d'aria che dal monte giungono da sotto le frane, dove vengono raccolte dentro tubi di argilla e incanalate dentro le cantine. Mantenendo cosi l'ambiente fresco che varia di pochissimi gradi con il cambio delle stagioni.
Sono il frutto dell'ingegno e dell'osservazione della natura, le prime a scoprire queste correnti di aria fredda, furono delle pecore, che in giorni estremamente caldi, mettevano la testa in alcuni punti del terreno, incuriosito il pastore, si accorse che l'aria fredda proveniva dall'interno della montagna.



Ogni cantina, ha nella facciata antistante la via, il suo portoncino in legno, delle finestrelle al primo piano, o una panchina addossata al muro.
Sono semplici casette rurali, di uno o due piani, al pian terreno o leggermente interrato si trova il locale della conservazione del vino, dei generi alimentari, carne o formaggio, che viene areato con le prese d'aria situate nelle pareti o nei pavimenti. In alcuni casi, " la cella" si addentra nella profondità della montagna, e in tempi antichi fungeva anche da "Nevera", o ghiacciaia, se riempita con della neve.


Sono state costruite in zone immerse nel verde, fuori dal centro abitato, alcune di esse col passar del tempo si sono convertite anche a grotto, diventando luogo di ristoro, di svago, e di leggende.
Si narra che: Napoleone, dopo aver instaurato la Repubblica cisalpina, giunse a cavallo da Milano per recarsi a Campione, fu il profumo delle robiole di un grotto, che convinsero il Generale e il suo seguito a fare una lunga sosta ristoratrice.
In tempi antichi il grotto, era luogo di aggregazione, guardando alcune cartoline d'epoca, sembra di rivedere la gente attorno ai tavoli di legno, o di sasso, poggiare i robusti avambracci mentre ha tra le mani un tazzinello di vino, il tutto all'ombra di robusti Tigli.



A quei tempi il nostranello appena stillato in tazze di terracotta, veniva accompagnato da un tagliere di salumi, o da un piatto, di trippa.
I grotti erano luoghi, dove vi era la più fervida occasione di incontri, di chiacchiere colte, di strepitose maldicenze. 


C'erano anche grotti severi, per gente di poche parole, che si recava in questi luoghi per svagarsi senza sparlare degli avversari, oppure grotti ilari e balzani, dove le robuste risate, e le canzoni in dialetto, riempivano l'atmosfera, e intanto il vino riempiva le tazze.


Sono stata a cena in compagnia in questi grotti, dove ora per chi lo gradisce portano un antipasto di affettati misti, e primi piatti della cucina tradizionale della nostra zona. 


La carne, brasato, spezzatino, stracotto, rognoni trifolati, salsicce con funghi, vengono accompagnati dalla polenta, oppure la polenta stessa, viene condita con formaggi del luogo e tanto burro di alpeggio, chiamata polenta concia, tipico formaggio è lo Zincarlin, e altri vari tipi di formaggi stagionati di capra, alcuni conservati sott' olio. Una cucina povera sicuramente, ma sostanziosa, e di buon gusto.


Su qualche facciata di queste cantina, si legge ancora, " qui vi sorride l'angolo più bello della terra" oppure, " piccola casa grande quiete " .
L'antico respiro della montagna, svolge naturalmente la propria funzione, ripetendola nel tempo, andando a nozze con la moderna Enologia, fiore all'occhiello di queste zone.


Anche per chi come me non beve vino, visitando questi luoghi, prova la sensazione che la memoria antica, sia ancora presente, immagino gaie brigate che qui dimenticavano le fatiche, sentendosi leggeri. Come dice il detto " il vino fa buon sangue, ma fa tremar le gambe ".