il filo dei ricordi-racconti

martedì 14 gennaio 2014

Sant' Antonio Abate

La Signora per cui, io lavoro, in questa settimana, avrebbe voluto fare dei lavori particolari, ma visto il tempo, ha cambiato idea.
Voleva che la sua casa,  avesse tutto in ordine, e fosse pulitissima per una festa importante:
ricorre il 17 gennaio, la festa di S. Antonio Abate, il patrono del paese, viene festeggiato con un falò nella piazza comunale, dove viene allestito un mercatino e il parroco da la benedizione agli animali.

Sant'Antonio Abate fu uno dei più illustri eremiti della Chiesa, nato a Coma, in Egitto, all'età di vent'anni lasciò ogni suo avere, per vivere dapprima in un deserto e poi sulle rive del Mar Rosso, morì quasi centenario, ma già in vita aveva avuto fama di Santità, tanto che anche l'Imperatore Costantino e i suoi figli gli chiesero consiglio.


Viene definito, il patrono degli animali domestici, e di tutti coloro che lavorano il fuoco.


S.Antonio Abate viene festeggiato in tanti luoghi, nella vicina Svizzera, a Varese, a Livigno (parlo solo delle zone che conosco).
Ogni 16 e 17 gennaio a Varese , si festeggia la tradizionale Festa di Sant' Antonio, accendendo un falò davanti alla chiesa omonima in piazza della Motta.











Nel falò vengono buttati i bigliettini, su cui le donne e gli uomini presenti, scrivono le proprie richieste d’amore invocando Sant’ Antonio: 
la tradizione risale ai tempi in cui gli uomini emigrati in Germania e in Svizzera tornavano a casa e le donne del tempo chiedevano a Sant’Antonio di fargli trovare un uomo pronunciando la seguente filastrocca:
 “Sant’Antonio del purscèl/ fam truva un om che sia bel/damel picul damel grand/ ma damel mia con stort i gamb
 (Sant’Antonio santo del maiale, fammi trovare un bell'uomo da sposare, non importa che sia grande o piccolo, ma non con le gambe storte). 
Nella mattina del 17 gennaio, alla conclusione della messa solenne, vengono benedetti tutti gli animali e vengono lanciati in aria dai bambini dei palloncini contenenti anch’essi dei  bigliettini.





La festa è molto sentita dai varesini e conta un numero di partecipanti ogni anno superiore ai duemila. Oltre alle celebrazioni religiose e al falò, la città ospita bancarelle alimentari che espongono e vendono prodotti locali tipici.



Mentre invece a Livigno secondo diversi documenti che risalgono all'anno 1082 venne dedicata la Chiesa Parrocchiale di S,Antonio Valfurva, mentre a Bormio altri documenti dimostrano che verso la fine del 1300 nella frazione di Combo si autorizzava a costruire una chiesa dedicata S.Antonio Abate e S. Agostino.
S. Antonio assunse le funzioni della divinità della rinascita e della luce, il garante di nuova vita, a cui erano consacrati cinghiali e maiali.

Patrono di tutti gli addetti alla lavorazione del maiale, vivo o macellato; è anche il patrono di quanti lavorano con il fuoco, come i pompieri, perché guariva da quel fuoco metaforico che era l’herpes zoster.
La leggenda popolare narra che s. Antonio, si recò all’inferno, per contendere l’anima di alcuni morti al diavolo, e mentre il suo maialino, sgattaiolato dentro, creava scompiglio fra i demoni, lui accese col fuoco infernale, il suo bastone a ‘tau’, portò fuori insieme al maialino recuperato, il fuoco che donò all’umanità, accendendo una catasta di legna.





Il morbo che curava, era conosciuto sin dall’antichità come ‘ignis sacer’ per il bruciore che provocava.



Per ospitare tutti gli ammalati che giungevano, si costruì un ospedale e una Confraternita di religiosi, l’antico Ordine ospedaliero degli ‘Antoniani’; il villaggio prese il nome di Saint-Antoine di Viennois


Il Papa, accordò loro il privilegio di allevare maiali, per uso proprio e a spese della comunità, proprio a Livigno, il comune pagava 40 soldi ai frati di S Antonio, e un documento sancisce che il ricavato della vendita delle carni, del porco del Comune,  fosse destinato agli emissari del convento di S. Antonioil sacrestano della Chiesa, d'inverno, aveva l'obbligo di accudire gli animali, che invece d'estate,   potevano circolare liberamente fra cortili e strade, nessuno li toccava se portavano una campanella di riconoscimento.


Il loro grasso veniva usato per curare l’ergotismo, che venne chiamato “il male di S. Antonio” e poi “fuoco di S. Antonio” per questo nella religiosità popolare, il maiale cominciò ad essere associato al grande eremita egiziano, poi fu considerato il santo patrono dei maiali e per estensione di tutti gli animali domestici e della stalla.



Nella sua iconografia compare oltre al maialino con la campanella, anche il bastone degli eremiti a forma di T, la ‘tau’ ultima lettera dell’alfabeto ebraico e quindi allusione alle cose ultime e al destino.
Nel giorno della sua festa liturgica, si benedicono le stalle e si portano a benedire gli animali domestici;



Per millenni e ancora oggi, si usa nei paesi accendere il giorno 17 gennaio, i cosiddetti “focarazzi” o “ceppi” o “falò di S. Antonio”, che avevano una funzione purificatrice e fecondatrice, come tutti i fuochi che segnavano il passaggio dall’inverno alla imminente primavera. Le ceneri poi raccolte nei bracieri casalinghi di una volta, servivano a riscaldare la casa e con apposita campana fatta con listelli di legni per asciugare i panni umidi.




È invocato contro tutte le malattie della pelle e contro gli incendi. Veneratissimo lungo i secoli, il suo nome è fra i più diffusi del cattolicesimo, anche se poi nella devozione onomastica è stato soppiantato dal XIII sec. dal grande omonimo santo taumaturgo di Padova.
Nell’Italia Meridionale per distinguerlo è chiamato “Sant’Antuono”.




lunedì 13 gennaio 2014

IL MONASTERO DI MUSTAIR

Alcune volte, si parte per una gita di qualche giorno, senza avere precise informazioni, all'ultimo momento una amica ti avvisa che c'è una gita sul lago di Resia, che sono rimasti liberi pochi posti e, senza pensarci poi tanto ho detto di prenotare.
Non conoscendo bene il programma, il nostro pullman dopo essersi diretto verso Saint Moritz, oltrepassando Zernez si ferma per una visita al Monastero di Mustair.


Il monastero di San Giovanni Battista, si trova in Svizzera, nel Canton Grigioni, precisamente a Mustair, in Valle Monastero, vicinissima al confine con la Val Venosta, in Alto Adige.
L'Unesco lo ha riconosciuo come Patrimonio mondiale culturale dell'Umanità.
La chiesa convettuale di San Giovanni, risale al 780, fondata dal vescovo di Coira,con il campanile e la torre Planta e le guglie a coda di rondine contraddistinguono il monastero e il villaggio di Mustair.
Il convento custodisce tesori culturali e artistici unici, avendo subito almeno otto fasi di ristrutturazione, ogni epoca ha lasciato le proprie tracce, con stuccature, volte, salotti rivestiti in legno che fondendosi tra di loro offrono al visitatore un insieme armonico.



Partendo dall'interno, dove un ciclo pittorico, raffigurante storie dell'Antico e del nuovo testamento ci racconta la storia.
Gli affreschi, alcuni danneggiati, altri invece mantenuti egregiamente, come la "guarigione di Emorroissa",
risalgono al IX secolo, sono di arte carolingia e romanica del basso e alto medioevo, un unico ciclo meglio conservato e il più ricco del mondo.


La chiesa è interamente dipinta, deve la sua particolarità e la sua esistenza a Carlo Magno, oltre alla chiesa si può visitare anche la torre difensiva più antica dell'arco alpino.



Questo complesso monastico trasuda storia,una storia iniziata 1210 anni fa.
Ci sono anche, scene datate 1160, che forse sono le meglio conservate, dove secondo gli esperti, la tecnica e lo stile corrispondono, a diverse produzioni ritrovate in lombardia, per cui sono giunti alla conclusione che un maestro lombardo possa aver lavorato a questi affreschi romanici.


La guida, che ci ha presentato il percorso, pur essendo esaustiva ci ha accompagnato abbastanza velocemente, per non disturbare le suore, che ancora vivono nel convento e che mettono a disposizione nove camere a chi cerca un periodo di pace.



Una leggenda unisce il mito alla storia (fonte Web)
Carlo Magno, di rientro dalla sua incoronazione a re dei Longobardi nel 774, riuscì a sopravvivere a una bufera di neve e in segno di gratitudine fondò il convento di San Giovanni. Müstair si trovava infatti in una posizione strategica per le sue ambizioni di espansione ad est, verso la Baviera.



Come ogni leggenda, anche questa sembra avere un fondo di verità: le travi in legno inserite nella struttura originaria della chiesa risalgono proprio al periodo in cui l'imperatore percorse la Valtellina e attraversò il passo dell'Umbrail dopo aver conquistato il regno longobardo. Da allora la figura dell'imperatore è venerata come quella di un santo a Müstair. La sua statua si erge fiera a fianco del crocifisso, quale guardiano della chiesa



Sin dall'inizio il convento è stato decorato con pitture murali e vetrate policrome, segno evidente di un periodo di prosperità e rinascita culturale. «Bisogna immaginare la chiesa come un locale semplice, con pareti lisce e un soffitto piatto, interamente dipinto», spiega Elke Larcher. I pilastri, la volta e il matroneo furono aggiunti solo nel 1492.
Gli affreschi carolingi (VIII e IX secolo) ricoprivano interamente le pareti della chiesa e illustravano la storia della redenzione. Intorno al 1200 tutta la parete orientale fu completamente decorata con un nuovo strato di affreschi, più dinamico e fantasioso rispetto al passato, ma caratterizzato dagli stessi contenuti iconografici.


Grazie al riconoscimento da parte dell' Unesco questa zona prevalentemente agricola, ora vive anche di turismo considerando che il monastero è circondato anche dal Parco Nazionale Svizzero.











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martedì 7 gennaio 2014

Cannobio e la tradizione


Un proverbio dice che l'Epifania, tutte le feste si porta via, ma non è così a Cannobio, sul lago Maggiore.
Infatti il sette gennaio è il giorno della festa del paese.


Ogni anno viene ricordato il miracolo avvenuto nell'osteria del paese: nel 1522, un dipinto in pergamena, che rappresentava Cristo deposto dalla croce con la vergine Maria e San Giovanni Evangelista, sudava e perdeva sangue, davanti a tantissimi testimoni, dal costato di Cristo sanguinante, uscì una piccola costola, con aderenze di carne, che fu raccolta dai sacerdoti, messa in un calice e portata in processione, per poi sistemarla nella chiesa di San Vittore con un sudario, una tovaglia e altre stoffe,  con le quali il sangue era stato asciugato.
La pergamena è stata analizzata, nel 1922 e dagli esami chimici le tracce risultarono di essere di sangue vero.
Gli abitanti di Cannobio, onorano la SS. Pietà, ogni anno, lo fanno rispettando la tradizione.
Nel 1522 , le vie del borgo, non erano illuminate ed al passaggio della prima processione, i Cannobiesi,  aprirono le finestre e sporgendo i lumi ad olio e le candele illuminarono le vie che venivano percorse con le reliquie, con canti e salmi.
Ancora oggi le luci vengono spente; mentre passa la processione, tanti "luminieri" posti sui davanzali delle finestre, danno luce alle vie della città, anche le sponde del lago e le barche in porto vengono illuminate in questo modo, dando un aspetto surreale quasi magico.

Il menù, in questi giorni, in ogni casa, o ristorante, è uguale per tutti: pasta e fagioli, patate lesse e luganiche (una salsiccia di carne bovina e aglio), questo era il cibo che si mangiava in quei giorni nell'osteria del miracolo.



Ora al posto dell'osteria sorge un grande Santuario, voluto fortemente dal San Carlo Borromeo, nel Santuario della SS Pietà, vengono conservate la pergamena con la tovaglia, mentre la costola si trova nella chiesa di San Vittore.

Questo racconto, è nato ieri, Milena una amica che gioca al minigolf me lo ha raccontato e io l'ho scritto.


Viene ricordata in modo profano come la festa dei lumieri, o festa della Luganiga, per i credenti è la festa della SS. Pietà. 

domenica 5 gennaio 2014

VILLA FOSCARINI-ROSSI E VILLA FOSCARI "LA MALCONTENTA" SUL BRENTA

Non lontano da Villa Pisani , si affaccia sempre sul fiume Brenta, un'altra villa settecentesca. 
Si chiama Villa Foscarini-Rossi.



Nella notte si è abbattuta una tromba d'aria su Dolo e la zona limitrofa, per cui il fiume non è dolce e lieve come ieri.
Abbiamo dovuto attendere che avessero il permesso, dagli enti preposti,  per poter navigare il corso del fiume. 
E' comunque tornato il sole; mentre attendiamo, la nostra guida ci informa che pochi sanno che la Riviera del Brenta, oltre alle Ville e alla navigazione, offre agli amanti della natura itinerari unici, che si possono visitare percorrendo sopratutto in bicicletta, questo attraverso una pista ciclabile che consente di vedere per prima cosa un eco-sistema che non si immaginerebbe: tantissimi gli uccelli e la flora diversa e particolare, dove la natura si è adattata a vivere tra il fango e l'acqua salmastra.



Dove la marea alzandosi e abbassandosi,  copre e scopre isolotti la cui vegetazione varia, col cambiare delle stagioni, assumendo colori che danno un' altro aspetto alla laguna.
Ci dice, che attraverso la pista ciclabile, si ha la possibilità di vedere Ville poco conosciute ma non per questo meno importanti come: Villa Fattoretto Badoer, Villa Bon Tessier, Villa Tito.
Finalmente ci lasciano partire, siamo diretti a Villa Foscarini, era la dimora di uno degli ultimi dogi della Repubblica di Venezia,


il progetto di questa Villa costruita tra il 1617 e il 1635, probabilmente di Vincenzo Scamozzi, erede del Palladio di cui era amico e avversario.
Successivamente passò nelle mani della famiglia Rossi da cui prende il nome e, nel 1995, dopo un restauro durato parecchi anni, è stata aperta al pubblico, nella foresteria si svolgono eventi, matrimoni, meeting, convegni, concerti, esposizioni.



I saloni della villa ospitano un museo permanente della scarpa, " Il museo Rossimoda della Calzatura", l'esposizione si sviluppa su alcuni piani, entrando in queste sale riccamente decorate, simbolo della ricchezza di tanti anni fa, mentre la mostra contemporanea ci fa tornare ai giorni nostri, presentandoci i prototipi di calzature che l'azienda Rossimoda S.p.a. ha prodotto per parecchie case di moda famose. 

Ritorniamo al Burchiello e riprendiamo a navigare sul fiume fino a Mira: dove ci attende l'unica Villa del Palladio, Villa Foscari detta la Malcontenta.  
I Foscari, famiglia facoltosa, già proprietaria di " Ca Foscari" sul Canal Grande, volevano una residenza in periferia raggiungibile velocemente in barca dal centro cittadino. Incaricò Andrea Palladio con cui avevano già rapporti, di progettarla e di disporne i lavori.



La villa sorge su un alto basamento, per evitare che al piano nobile giungesse l'umidità, essendo molto in prossimità dell'argine del fiume che spesso esondava, come tradizione dell'edilizia lagunare, la facciata principale da sull'acqua, le rampe di accesso gemellari imponevano agli ospiti che giungevano dal fiume, un percorso cerimoniale, le grandi scalinate introducevano gli ospiti verso il proprietario che li attendeva al centro dell'atrio. 



Palladio aveva il dono e il genio di ottenere effetti monumentali, utilizzando materiali poveri, tutta la villa, comprese le colonne è in mattoni e l'intonaco fatto di polvere di marmo in diversi strati per ottenere un effetto simile al marmo.



La facciata posteriore molto alta con finestre che consentono di capire la disposizione delle stanze.



Le decorazioni interne sono  per lo più rappresentazioni mitologiche, richiamando affreschi presenti nel castello di Fontaineblau. 





La villa ha avuto in ogni epoca, ospiti della nobiltà di tutta Europa: Il re di Francia EnricoIII, Emanuele Filiberto di Savoia, Federico IV re di Norvegia e Danimarca, i duchi di Windors e altri ancora.


Sono due,  le leggende che danno origine al nome di questa villa: nella prima: sembra che la zona, si chiamasse così, trenta anni prima
della costruzione della villa, e avesse già questo soprannome 
" Malcontenuta ", per via dei continui straripamenti del fiume.
Nella seconda, invece, sembra che il soprannome si debba ad una dama della famiglia. La bella dama Elisabetta Dolfin sposata Foscari, con la caduta della Repubblica di Venezia, aveva dovuto abbandonare la città in seguito alla sua condotta viziosa e libertina, condannata ad una vita esiliata e in completa solitudine, lontana dalla vita cortigiana e fastosa, a cui era abituata, la dama, non si era mai adattata alla monotonia della campagna e della villa, morì in preda a d una forte depressione. 
 Da allora nelle notti di luna nuova , si narra che nel parco si aggiri il fantasma di una bellissima donna, con i capelli rossi, vestita di bianco, così la mal contenuta acqua del Brenta nei secoli si trasformata nella Malcontenta.
Negli ultimi anni un architetto discendente della nobile famiglia ha deciso di vivere in questo gioiello con i suoi famigliari.
La visita è terminata siamo risaliti sul nostro burchiello che ci ha riportati a Dolo.