il filo dei ricordi-racconti

domenica 10 agosto 2014

il gelato di patate

Il gelato di patate 


Sono le 10 del mattino, mentre sto facendo il mio lavoro, sento chiamare “Enrica è pronto”.
Sul tavolo della cucina, sopra ad una tovaglietta decorata c'è un piattino, la tazzina del caffè, una ciotolina con qualche biscotto e lo zucchero, la caffettiera piccola da una tazza,.... sull'altro lato del tavolo proprio di fronte, c'è un'altra tovaglietta con sopra un vasetto di yogurt e un cucchiaino.


 Di solito il martedì a quest'ora la mia nonnina Licia, fa il caffè, lo beve anche lei, oggi invece ha deciso di cambiare.
 Ho parecchie cose da fare oggi, ma lei mi dice che non c'è nessuno che ha stabilito che si deve far tutto in una giornata.
 “Si deve trovare anche il tempo per morire. Ma visto che siamo vive gustiamoci qualcosa.”
Ha voglia di parlare la mia nonnina, è tutta la settimana che non vede nessuno, a parte i suoi figli, che sono molto presenti, ma per motivi famigliari vanno e vengono.
Nel complesso di tre condomini, di otto appartamenti ciascuno, è rimasta a casa solo lei e un 'altro signore. 
Mangia lo yogurt con cura, il contenitore di plastica, non avrebbe bisogno di essere lavato prima di metterlo nella differenziata, tanto lo ha ripulito.



Mi sgrida, non ho assaggiato i suoi biscotti, le ripeto ancora che sono a dieta, mi risponde che adesso tutti sono a dieta, adesso che c'è da mangiare il dottore ci mette a dieta, con tutta la fame che ho patito, adesso che posso permettermelo, devo fare la dieta.
Mi parla ancora della sua gioventù, ci mette diversi proverbi,  mentre io finisco le cose che ho da fare, lei mi segue camera per camera, e racconta, ritorniamo in cucina, si siede su una seggiola, mi offre un gelato, non lo voglio,  mentre lei racconta ho pulito tutta la cucina, dovrei solo lavare il pavimento. Appoggio la mano sul tavolo, ci mette sopra la sua e mi dice: “ “Fermati un attimo, non è così sporca la mia casa, parliamo un po'.



Mi guarda con quegli occhi azzurri, come il mare, parla del  mese di luglio, di tanti anni fa,  la domenica pomeriggio, il Signor Carletto con una specie di triciclo, passava per tutte le corti e portava il gelato, solo due gusti. Fior di panna e Limone.
 I ragazzi delle frazioni, aspettavano questo momento, dicevano: Sta arrivando! Sta arrivando ! Il Carletto! ((l'è scia, l'è scia ul Carletto!).
Ogni volta per lei era una delusione, i suoi genitori non potevano permetterselo, eppure costava solo 20 centesimi.


La mamma Elisabetta, stanca di non poter accontentare  le sue figlie e i nipoti,  si inventa qualcosa con quello che avevano in casa. Il gelato di patate. 
Faceva bollire le patate nel latte, ne faceva una specie di purè, aggiungeva lo zucchero, le uova, la panna del loro latte, divideva il composto in tre ciotole in una metteva il succo di una barbabietola, il composto diventava rosa,


 nell'altro aggiungeva qualche scaglia di cioccolato, (se c'era) e in un' altro ancora un po di panna poi lo metteva in cantina nel luogo più freddo, le prime volte mettevano il composto sulle parti finali del filone del pane. 
Così anche loro avevano il gelato, nessuno li scherzava più.
 Mi dice: 
"quante leccate facevamo su quelle punte di pane, orgogliosi di avere il gelato in casa, poi la mamma aveva migliorato  la tecnica e quando cuoceva il pane faceva delle cialde, le chiamavamo parigine".





 Ascoltando nonna Licia ho pensato, che non fosse possibile che ci potesse essere un gelato di patate, ma curiosando in internet ne ho trovato la ricetta, sicuramente più perfezionata. Quante cose, ha da raccontarmi la mia nonnina, è l'unica persona fra tutte le altre da cui vado a lavorare, che mi offre da bere o un caffè.
" Non sono ricca è solita dire, non sono povera, ma sono umana, non posso e non vorrei mai essere diversa, non mi manca nulla, e fin qui sono arrivata nella mia semplicità.
" E' contenta Licia?"
 "Si son contenta, più di così cosa potrei volere? Niente! ho già tutto..." 



…......................................................................Perle di saggezza

Zia Rosa



Mia suocera aveva una sorella, si chiamava Rosa, era la zia di mio marito, ma era anche diventata la Mia Zia.

Con più, mia suocera mi denigrava e offendeva, la zia mi difendeva e gratificava, anche lei come me, aveva subito e subiva ancora le meschine insinuazioni di una persona gelosa anche dell'aria che respiravamo.



Zia Rosa non era sposata, non aveva figli, ma amava i bambini, era una bella donnina, delicata, sempre ben vestita, non appariscente, era una persona fine, mai indiscreta, non curiosa, educata in ogni sua forma, mai ho avuto modo di sentirla alzare la voce o dire una parolaccia.




E' solamente grazie a lei, se io, con due bambini piccoli ho potuto continuare a lavorare in tessitura, lavorando su tre turni, compresa la notte.
Aveva raggiunto la pensione, e ho potuto contare su di lei, non gratuitamente, ma il mio compenso economico, era davvero minimo, di fronte alla mia tranquillità recandomi al lavoro.
Io sapevo, che i miei figli erano accuditi al meglio, non solo, erano davvero amati, la vera nonna dei miei figli, non è stata ne mia suocera, ne mia mamma, ma Zia Rosa.

Quanti vestitini ha fatto a mia figlia, era come una bambolina, quanti maglioncini ai ferri.
Quando facevo il turno del pomeriggio, la mattina ero a casa, e verso le 10, mi bussava alla porta con in mano una piccola caffettiera da una tazza, mi diceva:
"Fermati, beviamo un caffè, non lavorare solamente!"
"Le rispondevo che con quella caffettiera non avremmo nemmeno bagnato il becco", così lo facevo io con la mia.
Mi sorrideva, un sorriso che mi trasmetteva tranquillità
Aveva sempre,il sorriso sulla bocca, e gli occhi dallo sguardo dolce 




Con Giovanni, ha tanto giocato,  si infilava un paio di scarpe da tennis vecchie, magari anche un po' grandi, non erano sue, ma mie, e giocava a pallone, oppure a mosca cieca, nel nostro giardino, i miei figli con lei erano felici.




L'unica cosa che mi rimproverava, era il fatto che non avessi nei miei interessi, ne la preghiera, ne la chiesa, col passare degli anni ci aveva forse, rinunciato, ma ogni tanto mi diceva:

-Sei un' atea con due T.

La domenica mattina, portava con se mia figlia alla Santa Messa, e poi andavano a trovare i nonni bis al cimitero, nel pomeriggio durante la bella stagione li portava con se nei nostri monti dietro casa, a volte raccoglievano i mirtilli, oppure qualche fungo, li conosceva, oppure le castagne.



Dal canto mio, quando la malattia devastante, si è manifestata, non l'ho lasciata sola, l'unico rammarico è che con l'alzheimer , non ci riconosceva più.
E' stata buona anche dopo la sua morte, ha infatti lasciato la sua casetta a mio figlio, e proprio ieri approfittando del bel tempo ha iniziato a svuotare il sottotetto, o soffitta, dove io per comodità avevo portato anche tanta roba nostra
Nei tanti scatoloni, abbiamo ritrovato i quaderni di scuola dei miei figli , le cartellette con i loro disegni, le tante foto che non ricordavamo di avere.
Le battute ironiche, dei miei figli nei miei confronti, si sprecano, ritengono che abbia perso tempo ad impacchettare cose che non servivano, ma dopo un attimo, si è fatto silenzio, dentro una valigia c'erano due coperte, una fatta di lana, all'uncinetto, tanti pezzetti di lana tutti colorati uniti , forse non tanto bella, l'altra fatta con la tecnica patchwork, tanti pezzetti di stoffa diversi ,uniti. Le aveva fatte la zia, per loro due, da mettere su pavimento affinchè non avvertissero il freddo delle piastrelle.
I miei figli si sono guardati, e daprima Giovanni ha detto:

" non è tanto bella, ma mi piaceva da matti mettere le dita dei piedi in mezzo a questi fori....
 Di rimbalzo sua sorella:
Ma quanto ci abbiamo giocato, su queste coperte? Chi se ne importa se non sono belle, io questa la lavo e me la tengo.
Mamma come faccio a lavare questa che è di lana, non è che faccio un disastro? Me la lavi tu?



Ridevano i miei figli ricordando aneddoti riguardando la zia.
Ti ricordi quando metteva la crema sul viso?,
Si! E quando la nonna brontolava e lei faceva finta di non sentire?
Quando andavamo a Como in bus e ci portava a mangiare il gelato sul lago?

 Poi tutti e due insieme, come se fossero stati in coro hanno detto : E la nonna Adele, continuava a brontolare, ma niente scalfiva l'ottimismo della zia.
Forte zia, mitica zia, grande zia.

Io invece dico: “ Grazie Zia”

lunedì 4 agosto 2014

CONFIDENZE DI AMICHE


Squilla il telefono, rispondo: Pronto.....
-Parlo con Enrica ? Mi ha dato il tuo numero la nostra comune amica....
_Ah si me lo ha detto, intanto buona sera, sei riuscita a contattarmi....
Parliamo del più del meno, dei miei scritti, della nostra vita, dei nostri figli, del fatto che anche lei è vedova, di come le manca suo marito, delle difficoltà che ha avuto, nell'affrontare la perdita di questo uomo.
Per lei era davvero la sua metà.


Dal canto mio, non potendo dire che anche per me fosse così, le ho fatto la battuta, dicendo che io per lui ero meno della metà di un quarto....
Da persona acuta, quale è, mi chiede e lui cos'era per te?
  • Un misto di amore, speranze, rabbie delusioni continue e prolungate, e occasioni mancate, dicono che basta volersi bene, forse non per tutti vale la stessa ricetta.


Continuiamo a dialogare, lei persona religiosa, mi parla delle sue emozioni dell'accostarsi alla fede, dice che non ci sono regole da seguire precise, che c'è chi prega e non agisce, c'è chi non recita preghiere ma agisce, è di supporto agli altri, un modo diverso di pregare
Tutti questi argomenti li affrontiamo a rate, perchè le telefonate hanno un costo e non possiamo esagerare.





Una mattina prima di uscire dal lavoro, l'ho chiamata, la voce strana, il respiro corto,
-non ti senti bene ?
-Faccio così, il mattino, poi in giornata mi aggiusto, non ti preoccupare.
Il giorno successivo è stata ricoverata, ho avutro modo di parlare al telefono con uno dei suoi figli maschi, e un'altra mattina con la figlia.
E' rientrata a casa, dopo circa quindici giorni, ora ha una nuova terapia, e diverse visite di controllo da effettuare nel prossimo futuro.
Siamo tutti contenti che sia ritornata a casa, da quel giorno, la chiamo quasi sempre la mattina, solo per dire due parole:
Come va? Come stai?


  • Bene grazie, vai buon lavoro!
  • Sono stata a trovarla a casa sua , mi ha parlato dell'amore che li ha uniti per tanti anni, delle fatiche dei sacrifici, ma anche della soddisfazione di far crescere 5 figli, di portarli tutti alla maturità scolastica, con un diploma in mano, qualcuno di loro ha ben due lauree.


Ma più di tutto, mi parla dell'amore che li ha uniti, della voglia di stare sempre insieme, proprio quando erano giunti alla pensione e non dovevano più correre, potevano gustarsi anche solo una partita a carte, la spesa, le terapie a Montegrotto, le risate insieme, avevano paura di troppa felicità, e come sempre succede, il bello dura poco, dapprima un tumore colpisce lei, che lo supera, e poi un'altro tumore colpisce lui, che non ce l'ha fatta....


Si è sentita come un cane buttato da una portiera aperta in mezzo all'autostrada, si è sentita il mondo cadere, era mancato il suo TUTTO.
Con l'aiuto dei figli, cinque sono un bel numero, con un social network per persone un po' avanti negli anni, è riuscita a superare, ha un coraggio da leoni, ha diversi problemi di salute, ma mai l'ho sentita lamentarsi, mai una sola volta.



In un suo momento di crisi, (vengono a tutti)
Le ho ricordato una cosa , forse due,
  • Pensa a quanti bei ricordi hai, a quanto amore hai avuto, ai tuoi figli che per te fanno unione anche se una vive in una regione, un'altro in un'altra, e insieme a quelli più vicini in termini di chilometri, non ti lasciano mai sola, non cercano scuse, non c'è distanza, ti raggiungono e si alternano per te.
  • Sei una persona fortunata, e forse lo stai scordando....
  • Hai ragione Enrica. Sono fortunata, ho cinque gioielli di figli, non dovrei dirlo io, ma con Toni ho fatto i miei capolavori, sono orgogliosa.



domenica 3 agosto 2014

LE SCATOLE DI LATTA

Le cartoline che scrivevo alla nonna, le ha mia sorella, insieme ad altre cartoline scritte, dalle mie sorelle, e dai miei cugini.
Sembra che la nonna, avesse un bel po di corrispondenza coi tutti nipoti. 
Per ogni nipote, aveva fatto una scatola di latta, in ogni scatola aveva messo le cartoline o le lettere, con dei fazzolettini di lino ricamati a mano e una saponetta piccolina profumata.


Aprendo la scatola ancora oggi, malgrado gli anni, si riesce a percepirne il profumo, c'è un po' di polvere bianca del sapone, all'interno.
Anche la mia mamma aveva la mania delle scatole di latta, erano di diverse forme.


In cucina la mamma, invece aveva quelle del caffè svizzero " La chiassese", 
non contenevano tutte il caffè, le lavava bene, le asciugava e poi ci metteva un ingrediente per ogni scatola, farina, riso, zucchero, pasta una di quella scatole l'ho presa io e ancora la uso per contenere il caffè.



C'erano altre scatole, le più belle erano decorate i colori del fondo erano tenui rosa, azzurro e giallino con bei disegni floreali,







 ho ancora in mente la scatola con la "moretta" della ditta Ambrosoli che ha ancora il suo stabilimento in un paese vicino al mio.



Contenevano di tutto, ogni scatola diventava il contenitore per bottoni, avanzi di lana e cotone che rimanevano dai maglioncini che ci faceva a seconda della stagione, piccoli pezzi di stoffa che teneva in caso di necessità, poi c'erano quelle piccole con le farfalle che la nonna teneva nella tasca del grembiule,


contenevano le pastiglie che doveva prendere, e quelle quadrate,
ma non troppo alte che diventavano il contenitore dei messaggi personali, portagioie, e contenitori di segreti, le casseforti dei sentimenti.


Quelle scatolette nel cestino del cucito, che contenevano gli spilli,


 e nel cassetto sotto i tovaglioli c'era la scatola delle pastiglie del Re Sole, era diventato il salvadanaio della mamma, le monete delle uova che vendeva, stavano sopra, mentre i soldi in carta venivano ripiegati e messi sotto..



Mi tornano alla mente anche i sacchettini di lavanda, che confezionava con le sue mani messi in mezzo alla biancheria.
Mi sta venendo un nodo in gola, ci sono momenti in cui tutto sembra mancarti, e pensare, che tutto è iniziato ....con una scatola di latta....



lunedì 28 luglio 2014

LA PASTA

Chiccolino, dove sei?
Son qui sotto, non lo sai?
E la sotto non fai nulla?
Dormo dentro la mia culla.
Dormi sempre? Ma perchè?
Voglio crescere come te.
E se tanto crescerai, Chiccolino che farai?
Una spiga io farò, tanti chicchi metterò, e fresco pane, e pasta ti darò.


La coltivazione del grano, nel Mediterraneo, coincide con l'inizio dell'agricoltura, con la lavorazione e la trasformazione di questi chicchi in farina.
Impastare farina e acqua, è stata la scoperta autonoma che quasi tutti i popoli hanno fatto, il processo di evoluzione ha fatto si che l'impasto sia stato schiacciato e cotto su una pietra calda, il passaggio alla cottura in acqua calda è stata la naturale conseguenza.
Dopo aver scoperto come fare il pane, l'uomo ha elaborato, manipolando con abilità, l'impasto, dapprima a livello casalingo,


 diventando sempre più bravo, sperimentava produzioni più avanzate, facendo seccare all'aria il prodotto, ottenendo così la pasta secca.



La diffusione della pasta secca di formato lungo, ha radici lontane, la tecnica risale al periodo della dominazione araba della Sicilia tra
VII e il XII secolo.
In quei tempi la bella Sicilia, aveva fiumi navigabili e foreste immense.
Palermo rivaleggiava con le splendide città orientali, possedeva giardini lussureggianti.
Sotto il dominio arabo, la Sicilia non fu depredata, ma vennero introdotte coltivazioni del gelso, per fare la seta, del riso, degli agrumi, del cotone, della canna da zucchero, portando prosperità in tutta l'isola.



L'Emiro che dominava Catania, invitò a far le vacanze un geografo di notevole fama, si chiamava Indrisi, che scrisse il libro "Il nome di Ruggero" nel 1154.
Fra le tante annotazioni, sono sottolineate, le abitudini alimentari, molte simili ad alcuni piatti della cultura araba, come il torrone al miele,chiamato sia in arabo che in siciliano "cubbaita", o il gelato siciliano chiamato da noi "cassata", prendendo il nome dalla scodella tonda e grande in cui viene preparato, e che in arabo si chiama "quas'at".


La cosa che più ha interessato il geografo, è la produzione di pasta di grano in fili, itriya in arabo (vermicelli), che era una fonte di guadagno altissimo, per gli abitanti di Termini Imerese, tanto che ne parla diffusamente nel suo libro.
La produzione veniva spedita in Calabria e in tutti i territori musulmani, ma anche in quelli cristiani.
Non sono sfuggiti ai nostri antenati, i vantaggi di questo tipo di alimento, La pasta secca, consentiva periodi di conservazione molto più lunghi, ed evitava uno dei principali problemi che avevano a quei tempi, il deterioramento.
Nel dialetto Siciliano ancora oggi i vermicelli vengono chiamati "tria", anche la trafila che serve per la loro preparazione ha questo nome.


Ci furono una serie di controversie per stabilire chi fossero gli inventori degli spaghetti, Marco Polo tornando dal suo viaggio in Oriente, scrisse "il Milione", spiegando la fabbricazione degli spaghetti di soia, e l'introduzione della pasta alimentare in Italia.
Indris, però li aveva già citati nel proprio libro, cento anni prima.
Per stare nel giusto, si potrebbe dire che i siciliani hanno inventato i vermicelli e la pasta fatta col grano, mentre le paste di farine alternative, vengono dall'Estremo Oriente.


Alla dominazione araba , susseguirono i Normanni e gli Svevi, che impoverirono definitivamente l'economia della regione, le foreste vennero tagliate e i pozzi non più curati, fecero scarseggiare l'acqua così che le coltivazioni di grano si spostarono verso nord, nella pianura Padana dove il Po, con le sue acque rendeva i terreni fertili.
Attorno al grande fiume sorsero i mulini, nacque la nuova arte della pasta, che venne elaborata e preparata con sontuosi ripieni, riempita arricchita passata in forni.


La produzione di ravioli, agnolotti, tortellini,cappeletti, marubini , tortelloni, vengono citati da Frà Salimbene di Parma, nelle sue "Cronache" sulle sfoglie e ripieni nel XII secolo.
Nel 1700, tutta la pasta veniva definita maccaroni, furono i napoletani, a mettere ordine, e usarono questo nome per la pasta, non all'uovo e trafilata al bronzo, ancora oggi a Gragnano in campania ci sono dei pastifici artigianali dove la semola migliore incontra l'acqua e le trafile esclusivamente al bronzo, per darci un prodotto che tutti ci invidiano.


Tra un invasore che arriva,e uno che se ne va, portando con se, se non altro, il ricordo della nostra buona cucina, pasta, spaghetti, maccheroni, bucatini, sfoglia e ravioli, si sparsero dappertutto in Europa, seguendo le nostre ricette, a volte apportando varianti con allucinanti ingredienti, marmellata sopra gli spaghetti, o un caramello dolce o la salsa di mirtilli.
Ai nostri giorni, i turisti vengono per le bellezze artistiche e il bel sole, ma anche per amore di un piatto di pasta cucinato come Dio (Allah) comanda!
Capita, o almeno,a me è capitato, di ricevere ospiti inaspettati all'ultimo momento decidere di cenare insieme e allora che si fa...
Un piatto di pasta,...




Aglio olio e peperoncino, con zucchine e gamberetti, o una semplice pasta al sugo di pomodoro e basilico.
Un piatto di pasta mette il buonumore, condivisa con gli amici, oppure la pasta al forno della domenica, durante la stagione fredda, un buon brodo con cappelletti, che nutre e scalda.
W la pasta, ha superato crisi, invasioni,  è sempre un piacere riempire il nostro piatto e non solo.





sabato 19 luglio 2014

IL CREDO DIVERSO

"dedicato a delle amiche molto religiose che mi accettano nella mia non religiosità"


Per me è difficile credere in un qualcosa di Supremo, qualcosa che viene definito onnipotente che tutto vede e tutto sa.
Sono solita dire che credo a quel che vedo, ma facendomi delle domande, mi rendo conto che credo anche a cose astratte, non tangibili, all'amicizia, all' amore.




Molto spesso mi sono affezionata a persone, credendo che fossero amiche, o forse, mi sono illusa che avessimo un tipo di affetto amicale, queste persone comunque, erano reali, mi rapportavo con qualcuno, di astratto c'era il sentimento che io avevo riposto.



Poi c'è l'amore, quel sentimento che non comperi al mercato, che ti consente di fare progetti, e ti spinge a fare tantissimi sacrifici per realizzare gli obbiettivi prefissi, quell'amore che spesso viene tradito, umiliato, deluso, ma che proprio per amore, cerchi di superare, a volte non ci si riesce, va tutto come non dovrebbe, ma il sentimento non cambia, sei arrabbiata, a volte diventi cattiva, ma il bene che hai voluto non lo cancelli, forse per alcuni di noi, si modifica, ma non si gettano via le cose positive anche se sono pochissime.
Io credo in queste cose, nelle persone e nei sentimenti.




Poi c'è la religione:

Guardo la mia cagnolina luna, non ha religione, non venera nessuno, ma quando arrivo dal lavoro mi aspetta, saltella intorno a me, e questo è, ancora una volta, la dimostrazione di un sentimento.


Gli unici esseri sulla terra che hanno bisogno di credere in qualcosa di astratto siamo noi, gli uomini.
Fin dai tempi più antichi ogni popolo ha venerato degli dei,
lo dimostrano i tanti disegni rupestri e le tombe che vengono scoperte dagli archeologi.
"Non c'è popolo che non abbia avuto una religione".



Ho conosciuto una persona molto religiosa ultimamente, convinta nel proprio credo, che è riuscita a trasmetterlo a tutta la sua famiglia.
Alle mie obiezioni, risponde dicendo che la fede o c'è o non c'è, dice che di fronte a tante bassezze, i dubbi vengono anche a lei, che questo fa parte del fatto che siamo menti pensanti.
Ma dice anche che forse il mio pensiero, non è sbagliato ma troppo concentrato su cose troppo concrete.
Mi spiego meglio:



Per la mia amica, credere, è parte di se stessa, nei suoi pellegrinaggi non si aspetta il miracolo, lei va perchè crede profondamente, la sua è una ricerca interiore.
La meta che lei raggiunge, è meta si di preghiera, ma di pace interiore, non si aspetta nessuna manifestazione, per lei è scontato che sia così.
Non c'è Madonna che sia Lourdes, Fatima o Medjugorje, che le deve dimostrare nulla, non si aspetta nulla.
Io penso ai malati, sopratutto ai bambini, ai viaggi della speranza, pensando a un miracolo di una guarigione.



Una mia famigliare, che avendo perso un figlio di vent'anni, con la fede ha raggiunto una serenità interiore, la quale molto spesso, nei miei momenti di difficoltà, mi dice, entra in chiesa la porta è sempre aperta a tutti.
E l'amica di Desio, che si accolla tutti i problemi esistenziali dei suoi amici virtuali, e si preoccupa, dice che Dio è dappertutto.



Una ragazza che lavora con me, di religione musulmana, quando le ho offerto una caramella, mi ha detto che, dalle tre di notte alle nove di sera, non avrebbe messo nulla in bocca, nè cibo nè acqua, per rispettare il Ramadam.



Non cambio idea, non posso cambiare il mio modo di pensare, ma rispetto, chi riesce a trovare il modo di continuare anche attraverso la fede.




Poi, come molto spesso mi ricordano, siamo tutti peccatori, a volte si commettono errori, anche involontariamente, perchè sbagliare è umano.





Un'altra amica ancora usa la preghiera per stabilire un rapporto, un unione in famiglia, basta prendersi per mano e dire una preghiera.
Io non l'ho mai fatto, nemmeno quando ero con i miei genitori, eppure mio padre ringraziava per quel che avevamo, poco per la verità, mi chiedevo sempre perchè ringraziasse.....



Non ho mai sentito la chiamata, dicono che Dio vede e provvede, nella mia scetticità ho pensato e detto che dopo 2000 anni deve avere un po di cataratta.

Mi dicono che sono una monella, e ci ridiamo sopra insieme, se la diversità di pensiero e di credo unisce, viva la religione.