il filo dei ricordi-racconti

venerdì 20 dicembre 2013

LA MIASCIA

La miascia

C'è un dolce molto meno conosciuto del Panettone che ha allietato tante festività Natalizie nelle case delle famiglie povere.
Fatto con ingredienti poveri, senza zucchero, ma con pane raffermo e frutta a volte diventava un'unico pasto..



Tutto dipendeva dalle possibilità economiche della famiglia.
La cucina comasca, molto povera, si è formata sfruttando le risorse della zona, per lo più sul pesce di lago e sulla pastorizia alpina, con i suoi derivati latte, burro e formaggio.
Conosco personalmente, persone di una certa età, che vivevano sopratutto nelle vallate dell'alto lago di Como che fino agli anni settanta non avevano mai potuto permettersi il tanto pubblicizzato Panettone.

Così il loro dolce natalizio diventava la "miascia"
é un dolce tipicamente lombardo per cui, ne esistono diverse ricette, dalla più povera, a quelle più ricche di ingredienti.



Il pane raffermo veniva utilizzato insieme alla frutta secca, noci, nocciole, fichi, uvetta sultanina, e anche a frutta fresca, nei casi più poveri alle mele o pere, per chi aveva qualche possibilità in più poteva mettere uva o albicocche sciroppate, spesso anche due tipi di farina, quasi un lusso, ho trovato nel web qualche ricetta.

La ricetta originale della Miascia di Como

500 gr di pane raffermo
1/2 litro di latte
2 uova
20 gr di pinoli
50 gr di zucchero
2 pere
2 mele
degli amaretti
50 gr di uvetta
la buccia grattugiata di un di limone
1 bicchierino di liquore amaretto
50 grammi di burro
1 cucchiaio di farina bianca per predisporre la tortiera

Come si prepara la torta paesana

Prima di tutto bisogna tagliare il pane raffermo a piccole fette e metterle in una zuppiera (o una ciotola qualsiasi) assieme al latte per  circa 2 ore. Nel frattempo tagliate le mele e le pere a fette e trascorse le due ore aggiungetele nella zuppiera assieme alle uova, le uvette, i pinoli,  lo zucchero, gli amaretti sbriciolati e il liquore.
Ora che tutti gli ingredienti sono stati aggiunti, lavorate l’impasto con un cucchiaio e versate il risultato finale in una tortiera imburrata e infarinata. Spolverate l’impasto con dello zucchero e mettete tutto in forno preriscaldato a 200°C per 15 minuti, quindi a 150°C per altri 15 minuti.
Sfornate la torta e servitela tiepida o a temperatura ambiente (come preferite).


Un'altro prodotto che ha allietato le tavole della nostra zona, non era solamente il pesce di lago,  ma anche la polenta, qui da noi si mischiano due tipi di farina, farina di grano saraceno, e farina di mais che veniva mangiata con
tutto, anche in diverse versioni, polenta uncia, (unta)



 con formaggio e burro, con la carne, o solamente polenta e formaggio" Zincarlin"  in tempi più recenti polenta e gorgonzola.





Due formaggi tipici, la "semuda"


È ottenuto da latte crudo di vacca scremato, caglio  e sale; le sue forme sono cilindriche, del diametro medio di 30 cm con un peso di circa 4 kg. La pasta è caratterizzata da un’occhiatura disomogenea, da una consistenza che va dal gommoso al morbido e da un colore variabile tra il giallo, il paglierino e il verdognolo. Il prodotto viene stagionato dai 40 giorni ai 4 mesi; il formaggio giovane ha un sapore delicato ed assume un gusto più forte se consumato dopo tempi più lunghi.
QUANDO VIENE PRODOTTA
La produzione viene effettuata principalmente nel periodo invernale, durante il ricovero della vacche nelle stalle, infatti nel periodo estivo le vacche della maggior parte degli allevatori vengono portate all’alpeggio ed il loro latte è destinato ad altra produzione, inoltre nel periodo estivo, le temperature più elevate rendono delicato il processo di maturazione e stagionatura conferendone l’eccessiva morbidezza della pasta compromettendone la consistenza e la presentazione visiva.





 e lo zincarlin interessanti per la loro preparazione e per essere davvero formaggi poveri.


IN DIALETTO COMASCO: Zincarlin
Area di produzione: Lario occidentale
Descrizione e caratteristiche: la sua produzione parte dalla ricotta (o ‘’mascarpa’’ in dialetto locale) che si aromatizza con sale e pepe. Si uniscono anche erbette finemente triturate. In base alla stagionatura, il suo colore può variare dal bianco fino al giallo e più passa il tempo più il suo sapore diviene piccante. La sua produzione oggi è in ripresa, grazie al nuovo interesse da parte dei consumatori. Anticamente veniva preparato dalla ricotta d’alpeggio nella stagione estiva; la sua conservazione in inverno avveniva in particolari mobili dette ‘’marne’’ in dialetto comasco. Per evitare le muffe, il formaggio all’esterno viene trattato quotidianamente con vino bianco e sale durante la stagionatura.
Aspetti nutrizionali: essendo una ricotta presenta un ridotto quantitativo di lipidi derivati sostanzialmente dall’eventuale aggiunta di latte di capra.
fonte Web





In tempi non molto lontani, il giorno di festa  veniva rigorosamente rispettato, con piatti umili e semplici, che riempivano il pranzo del giorno di Natale.





mercoledì 18 dicembre 2013

Il contrabbando la storia e la religione



Fin dai tempi più antichi per combattere la povertà e la mancanza di lavoro, nella mia zona e sui monti della Valle d'Intelvi e dell'alto lago, si praticava il contrabbando, questa zona era l'eccellenza del contrabbando, questo perchè dall'altra parte del confine c'era la Svizzera, povera di materie prime, che pur di ottenere quel che gli serviva, era disposta a tollerare anche azioni considerate illegali negli stati confinanti. .


Tutti i poteri che si sono succeduti durante i secoli, da quello spagnolo a quello austriaco, Francese, Italiano hanno dovuto fare i conti con gli spalloni del Lario, che conoscevano come le proprie tasche i sentieri i canaloni le valli che circondano il nostro territorio.
Il Ducato di Milano aveva proibito l'esportazione di granaglie lombarde in territorio elvetico, successivamente fu Napoleone che
mettendo le tasse di monopolio su sali tabacchi e polveri da sparo incrementò il periodo romantico del contrabbando, dando vita ad una collaborazione, che non contemplava solo le merci ma anche il salvataggio dei i rivoluzionari che combattevano contro gli invasori.
 Nel periodo del risorgimento, molti patrioti furono salvati e accompagnati nella vicina Svizzera dai nostri spalloni
La parola contrabbando vuol dire "andare contro il bando" non rispettare le regole.
Spallone vuol dire portatore di sacchi in spalla, portavano 40  kg di sigarette, dadi da cucina, zucchero, oro, argento.portavano esattamente 749 pacchetti di sigarette, perchè se ne avessero portati  750 sarebbe scattato l'arresto,  
Più tasse e limitazioni lo stato Italiano metteva, più la Svizzera, che non metteva sanzioni, traeva profitto. Nemmeno durante il periodo del fascismo e la II guerra mondiale e con tutte le limitazioni che il blocco dei commerci imponeva riuscirono a fermare il contrabbando nel territorio, in quel periodo gli svizzeri richiedevano molto riso, i contadini padani sfidavano le guardie di confine pur di sfuggire alle requisizioni tedesche.
Fino agli anni 50  gli Italiani  portavano uova farina riso , in Svizzera. Dal 1950 al 1960  andavamo a prendere, sigarette,  dadi e zucchero, pellicce, oro e argento e lo portavamo in Italia. Il contrabbando, se pur illegale ha salvato il territorio Lariano dallo spopolamento e dall'emigrazione, ha creato i suoi disonesti-eroi e qualche martire,condannati dallo stato ma, assolti dalla chiesa
Dal canto loro gli spalloni camminavano per i sentieri con le scarpe ricoperte di sacchi di iuta per non fare rumore,


 anche  i cani venivano utilizzati come spalloni. la tecnica era che: venivano picchiati da una persona che indossava la divisa della guardia di finanza, nella vicina Svizzera, per poi essere portati in italia dove venivano  nutriti e coccolati,   inviati in Svizzera, tornavano  portando  un carico di 10 kg di  sigarette attraverso i sentieri, evitando di incontrare gli uomini in divisa. 


  
 Era una guerra tra poveri, i ragazzi che giungevano a fare la guardia di confine, provenivano spesso da situazioni di povertà, dove il servizio militare era l'unica via di uscita, un posto di lavoro sicuro, ma le condizioni non erano certo da favola, i turni potevano durare anche 72 ore filate, lungo la linea di confine su sentieri impervi, con pioggia, o neve, al gelo notturno aspettando che passasse la comitiva degli spalloni.


 Lo stato Italiano non era certo tenero con i suoi servitori, oltretutto proibiva loro di sposarsi per evitare di dover pagare la pensione alla moglie in caso di morte.
Tra gli spalloni e i finanzieri non correva buon sangue, ma per informarsi sugli spostamenti degli uni o degli altri, si diventava spie, i finanzieri si infiltravano nei gruppi di contrabbandieri, carpendo la loro fiducia per poi arrestarli sul fatto.



 Mentre le donne in giovane età, avevano il compito di civettare con i finanzieri per poter acquisire utili informazioni.
Anche alcuni preti furono coinvolti, Don Alessandro Parenti, parroco di Tre Palle in Valtellina, un paese confinante con il Cantone Grigioni in Svizzera, trovatosi in una zona tra le più fredde d'Italia, dove l'unico sostentamento era l'agricoltura, contribuì all'economia della zona, utilizzando l'ingegno.
Per ben 41 anni è stato parroco di questo paese, a lui è stata dedicata la piazza del paese, persona particolare, ho trovato nel web uno stralcio che può raccontare meglio,  di come lo potrei fare io, questo parroco di frontiera:
" Si era da pochi anni spenta l'eco degli ultimi bombardamenti del secondo conflitto mondiale, quando il caporeparto della dogana si precipitò a casa Parenti chiedendo vivamente di racimolare tutti gli uomini disponibili a Trepalle per una emergenza gravissima. Ed eccolo giungere a sirene spiegate con il suo codazzo di finanzieri. Don Alessandro, da perfetto pigmalione, li fa accomodare tutti in sala e mesce vino a profusione, un boccale dopo l'altro, intessendo una sterile, logorroica conversazione, mentre gli spalloni con le loro briccole stracolme prendevano il largo passando oltre confine. Don Parenti è stato sempre ricordato come un grande benefattore pubblico, anche se le stive del suo solaio tracimavano di sigarette di contrabbando. E Dio solo sa cos'altro. -

Negli anni 60 lo spallone è stato soppiantato dalla tecnologia, e da un contrabbando che non ha nulla a che vedere con la combriccola di paesani che conosceva le proprie valli, che integrava le entrate famigliari, non avendo lavoro un lavoro stabile, finisce così l'era romantica del contrabbando.
Il contrabbando odierno, è dato dalla malavita, fornisce i mercati di cose molto dannose, tutta un'altra storia.

martedì 17 dicembre 2013

CHICCO E IL NATALE

CHICCO E IL NATALE

Capita abbastanza sovente che Chicco si fermi a dormire a casa mia.
È felice la sera, di entrare nel lettone, inizialmente ci salta sopra e poi si mette sotto le coperte, a volte vuole che gli legga una fiaba, altre volte mi fa delle domande.


"Nonna ma quando tu eri piccola chi veniva a portarti i doni?
Babbo Natale o Gesù bambino?"
"Scrivevi la letterina?"



Così inizio a raccontare che a casa dei miei genitori c'era Gesù bambino, che era un Gesù poverello e che avevamo dei doni sotto l'albero ma erano pochi, molte volte era la nonna bis (mia mamma) che li preparava e poi li dava a Gesù bambino, ma che siccome il lavoro era tanto si faceva aiutare da Babbo Natale.




Il nonno Bis (mio papà), indicava la porta di casa nostra, con una lanterna, che al suo interno aveva una candela accesa, preparava sempre del fieno, fuori della porta, con un po di pane secco e dell'acqua per le renne che arrivavano molto stanche, si dovevano riprendere dal lungo viaggio.
La sera, andavamo a letto presto senza discutere, perchè durante la notte sarebbe arrivato Gesù bambino.
La sveglia il giorno dopo non aveva bisogno di suonare, in pigiama , spettinate, senza aver nemmeno lavato il viso, di corsa entravamo nella camera dove c'era l'albero, una stanza freddissima,  ognuno  di noi prendeva il proprio  pacchetto, e poi, sempre  di corsa davanti al camino in cucina a scartare il nostro dono...
Un anno ero già grandicella, ho avuto due regali, un paio di stivali con le stringhe e una cosa tanto desiderata .....un mangiadischi.....
era di colore arancione, con alcuni dischi di fiabe e poi un po' di 45 giri che forse qualcuno ci aveva dato....
ero strafelice...



In cucina la nonna bis aveva già parecchie pentole sul fuoco, il brodo di pollo, mezzo pollo arrosto e mezzo alla cacciatora, il baccalà alla vicentina con la polenta bianca, poi dovevamo prepararci per andare a Messa.
Spiego a Chicco che mio papà metteva il vestito della festa, e la mia mamma aveva un bel grembiule bianco tutto col pizzo, mio fratello arrivava coi suoi bambini piccoli, mia cognata, la tavolata grande in cucina.




In un locale adiacente, che fungeva da ripostiglio, c'erano le conserve fatte dalla nonna bis, acciughe con prezzemolo e aglio, giardiniera nei vasi di vetro, mandarini, la frutta secca e il panettone.
Racconto a Chicco la storia del panettone....
La nonna bis faceva sempre uno zabaione che faceva cuocere a bagno maria e poi metteva nel piatto vicino alla fetta di panettone. 




Il panettone dopo essere stato servito al pranzo di Natale, veniva messo nel ripiano più alto del mobile della cucina, affinchè qualcuno un po' goloso, non riuscisse a raggiungerlo, ma come sempre, qualcuno di noi, riusciva a prenderne magari solo una fetta sottile,  il nonno bis, aveva messo degli stuzzicadenti come segno,  per cui si accorgeva subito che lo avevamo toccato.
 Poi chiedeva: " chi ha toccato il panettone?"
"Nessuno rispondeva, nessuno di noi era stato" 
Chicco mi guarda e ride divertito:
Allora ti ha messo in castigo nonna?"
-"No il giorno di Natale, nessuno riceveva castighi".
La carta dei pacchetti veniva piegata per essere riutilizzata, si stava a tavola per un bel po di tempo, molti  gusci di arachidi e noci,



 e le bucce di mandarino sulla griglia del camino facevano profumo.
Verso sera, in mezzo alla cenere venivano cotte le aringhe avvolte nella carta oleata, le fette di polenta avanzata erano sulla griglia ..



Non avevamo il patè di oca e nemmeno il salmone.
Chicco si è addormentato , la sua testolina è diventata pesante lo sposto un pochettino, tanto tra poco me lo ritroverò addosso, cercando il calore...



Ecco cosa portava il Natale... portava calore






sabato 14 dicembre 2013

LA STRADA STREGATA


Mi è stato raccontato di un luogo particolare.
Questo posto si trova in Italia, precisamente in Trentino, è la strada che porta al Santuario della madonna di Pinè.
Situata alle pendici del Colle di S'Ana, Montagnaga è un piccolo centro abitato con origini antiche che risalgono ai Celti.



Nell'anno 1729 fino al 1730  la Madonna apparve cinque volte, alla pastorella Domenica Targa, la piccola chiesa dedicata a S. Anna non riusciva più a contenere i fedeli, che si recavano sul luogo e decisero di ampliare la chiesa, divenne un santuario, che fu ampliato nell'arco di un secolo e mezzo ben due volte, contiene dipinti importanti ,dove vengono rappresentate le apparizioni della Madonna, l'interno della chiesa è decorata da 16 grandi tele racchiuse in cornici lavorate a stucco, opera di vari artisti che si sono susseguiti dal XVII secolo fino al XIX.





Nella penitenzieria, oltre all'altare e al crocefisso in legno, gli esperti dicono che alle pareti ci sia una Via Crucis di notevole fattura, mentre gli ex voto posti come ringraziamento alla madonna superano i 7000 pezzi.



Il santuario della madonna di Pinè ospita un rappresentazione originale della madonna del Caravaggio, mentre nel 1894 l'immagine della madonna venne incoronata, la corona, ricca di brillanti diamanti e altre pietre preziose, fu creata dall'orafo trentino Giacomo Piller, in quell'occasione la chiesa si completò con un'ottimo organo.




Dopo aver visitato il santuario, si può visitare il Monumento al Redentore, in stile rinascimentale del primo novecento con la Scala Santa, che i credenti ancora oggi percorrono in ginocchio.




Poi dal Sacro si passa al profano, c'è una strada definita in tanti modi: la strada del miraggio, o la salita in discesa, oppure la strada stregata,
Infatti, chi me lo ha raccontato dice che la caratteristica di questa strada è che, una palla, oppure dell'acqua, invece di scendere, salgono, mi sono così documentata e nel web ho trovato queste informazioni:

A Montagnaga  di Pinè esiste una strada che dà origine ad un fenomeno ottico piuttosto bizzarro. La strada d'ingresso (se si proviene da Baselga) di Montagnaga si inserisce su un tratto quasi pianeggiante sulla destra mentre la strada provinciale procede in discesa sulla sinistra. Il tratto pianeggiante appare a prima vista in leggera pendenza nella direzione verso il paese, tuttavia semplici esperimenti, dimostrano che la strada è in realtà in discesa. Ad esempio una macchina in folle, un pallone, dell'acqua sull'asfalto, o per più scettici anche un livello a bolla, hanno un andamento che è contrario a quello che a prima vista uno potrebbe razionalmente supporre: invece di tornare indietro, salgono!

Sul fenomeno si sono espressi diversi pareri tra cui quello una anomalia gravitazionale che comunque è da escludere. L'ipotesi più accreditata è quella dell'illusione ottica. Su tale questione, qualche tempo fa la rivista scientifica Focus (N.88-febbraio 2000) ha dedicato un articolo tentando di spiegare il fenomeno ottico della strada di Montagnaga.

In ogni caso rappresenta una curiosa attrazione di Montagnaga di Pinè. Molti sono infatti i turisti (anche stranieri) che incuriositi dal fenomeno (la cui esistenza si diffonde come una leggenda metropolitana) vengono a sperimentare la strada anomala.
Provare per credere !!

Chissà che con la bella stagione   possa diventare una nostra meta.
Per il momento ringrazio chi mi ha informato. 















giovedì 12 dicembre 2013

UN RACCONTO PER RITROVARSI


Che io fino a poco, tempo fa scrivessi per un blog, si è sempre saputo.
Con qualche amicizia fatta, ci sentiamo per telefono.
Poi, una di queste persone, con la quale, sono rimasta in contatto, mi dice che un'altra persona, che ho conosciuto, anche personalmente, per motivi di salute era stata forzatamente assente dal blog, che una volta rientrata, si era molto dispiaciuta di non avermi più trovata.

martedì 10 dicembre 2013

Nonna Licia e il Sacrista

Si avvicina il Natale e la mia nonnina Licia mi racconta sempre qualche aneddoto, ha iniziato dicendomi che aveva ormai quasi 20 anni, quando il suo papà dopo una vendita azzeccata di vino Asprino chiamato in dialetto Ciaret, aveva potuto comperare per lei, le sue sorelle, e i suoi cugini, un frutto esotico che non avevano mai visto: " Le Banane", ricorda che la mangiava a piccoli morsi e che la teneva in bocca il più possibile per assaporarne il gusto.
Poi mi parla del Natale da sposina, e di quando ha avuto il primo figlio, che essendo nato a novembre, era per loro un Gesù bambino.

Nei giorni successivi mi ha parlato di un Natale triste, in quell'anno aveva perso la sua unica figlia femmina, nata con una malformazione al fegato, a volte ancora oggi, mentre dorme, si sveglia, perchè sogna le grida di dolore della sua bambina, in quel Natale, la sofferenza era tanta, che lei e il marito non riuscivano nemmeno a guardarsi negli occhi.

I suoi occhi azzurri si velano un po, ma trovando, una forza personale, mi dice: " la vita è questa, gioie e dolori, ma sono contenta, dopo quella disgrazia, ci siamo messi d'impegno e abbiamo acquistato questo appartamento , è anche troppo per chi come me viene dal nulla..."
Il sorriso le torna sulle labbra, raccontandomi di quando aveva tutti i nipotini in casa, dice che a volte il marito sembrava geloso delle attenzioni che lei riversava sui tre nipoti.
Segue sempre un filo conduttore, ma ha tante cose da raccontarmi e divaga qualche volta, oggi mi parla del Giosuè, non ricorda con precisione quale fosse il loro grado di parentela, dice:
" sono sicura, che eravamo parenti".



Durante la prima guerra mondiale, il fucile di Giosuè è scoppiato per cui aveva un occhio di vetro e da un orecchio non sentiva più, cio nonostante era un uomo grande e grosso...
Con la seconda guerra mondiale, tutti gli uomini in buone condizioni fisiche, furono richiamati o arruolati, per cui in paese erano rimasti gli uomini malati e anziani, il Giosuè non essendo idoneo e Don Filippo.
Don Filippo confortava le anime, ma non aveva tempo per suonare le campane.
Giosùè non si lamentava mai, anche se in primavera pioveva troppo e il raccolto subiva dei danni, o se il sole troppo caldo di giugno o luglio bruciava le spighe, o se il raccolto dei bachi da seta non aveva dato l'entrata economica desiderata.
Aveva sempre un po di verdura nell'orto e qualche animale nel pollaio.
Gli fu proposto di fare anche il sacrestano, e il campanaro,



Accettò il compito di suonare le campane, continando ha lavorare la sua terra, aiutava nei lavori pesanti le mogli dei suoi compaesani che erano al fronte.
Il compito di campanaro lo aveva assunto con tale dignità e impegno, che al termine della guerra, qualcuno, forse un po' geloso, fece notare che il campanaro era per metà sordo, ma i suoi paesani, riconoscenti, non vollero sostituirlo,così come nessuno riuscì a farlo cedere, ne riuscirono a spegnere la sua buona volontà.
Le campane venivano usate, anche per occasioni personali, a disposizione di chi lo richiedeva, la disponibilità era di prestare il suono delle campane anche per fare una serenata alla fidanzata, o ad ogni nascita che avveniva nel paese.
Suonò la serenata alla sua bella fidanzata, che poi divenne sua moglie, ad ogni nascita dei suoi figli lo scampanellare risuonava nel paese.

I suoi otto figli presto iniziarono a lavorare, gli uomini nella fabbrica di strumenti musicali "Orsi " di Cavallasca, solamente durante il periodo bellico, ebbero un fermo, poi seguendo l'esempio famigliare tutti lavoravano e molto.
Le figlie femmine lavoravano nel cotonificio di Mendrisio, costruirono, ognuno la propria casa, e anche una piccolina per il Giosuè e la moglie Anna.
Era distante dalla chiesa, ma Giosuè, si recava sempre a suonare le campane, con ogni condizione atmosferica, pioggia, neve, ghiaccio o caldo afoso, non mancava mai.
Solo tre volte si fece sostituire, il suono di quelle campane era mesto.
Una brutta epidemia influenzale, in pochi giorni aveva portato via alla famiglia di Giosuè, due figle femmine e il vecchio padre...
Il suono delle campane era ad intermittenza, lanciava tanta felicità e a volte era foriero di dolori, di perdite, ma ciononostante amava
quel lavoro , il Sacrista Giosuè, ringraziava il Padre Eterno, invitando tutto il paese alle novene, alle sagre, per annunciare la partenza o l'arrivo degli emigrati.
Le notti di agosto, quando le stelle di San Lorenzo correvano nel cielo, la festa di fine estate.



In autunno si festeggiava la vendemmia, lo scampanare era motivo di festa.
Ma la vera festa era il Natale, il bilancio di un anno la benedizione, il fieno in cascina, il granoturco in granaio, qualche sacco di frumento per il pane, il lino raccolto che aspettava in queste lunghe serate invernali di essere filato,



 mentre le uova vendute permettevano il viver quotidiano, i capponi pronti già prenotati , ma il più grosso era per la famiglia, per il giorno di Natale, in quell'occasione tornavano, i figli emigrati in giro per il mondo e le figlie, da Mendrisio, ognuno col proprio gruzzoletto.

Tanta grazia, veniva onorata dal sacrista con colpi secchi e sicuri sui legni che tiravano il battacchio delle campane,
per la canzone del Santo Natale.



Proprio alla vigilia di Natale di quarant'anni dopo, col groppo in gola, e lacrime che gli rigavano il viso, il Giosuè suonava per l'ultima volta, non l'avevano abbattuto le difficoltà, i dolori o la vecchiaia, ma il progresso, l'avevano messo fuori servizio, le campane elettriche.

martedì 3 dicembre 2013

LA POZZA, UNA CHIESETTA E STARE INSIEME


LA POZZA, UNA CHIESETTA E STARE INSIEME

Dopo parecchi anni, senza vederci con Marisa, ex colleghe di lavoro ,abbiamo di nuovo ritrovato il feeling che da ragazze ci aveva fatto diventare amiche. Pur essendo diverse nel modo di pensare e nel modo di agire.
In settimana il mio cellulare squilla,
è Marisa, sbrigativa come sempre dice:
- "Vado ancora a Isolaccia per motivi personali se vuoi venire andiamo il mattino e torniamo la sera ".
Mi prende alla sprovvista, anche perchè,ho problemi ai piedi e alla schiena, ho paura di non sentirmi bene, la sua risposta è:
-"ci aggiorniamo sabato".
Ore 12,30 di sabato, squilla il telefono:



" Ciao domani mattina si parte, se proprio stai male, stai a casa, altrimenti fai uno sforzo, perchè a causa di alcuni contrattempi, qualcuno non può venire".
Non voglio lasciarla andare da sola, così decido di andarci comunque, le previsioni del tempo sono buone.
Il giorno dopo, alle sette si parte, con noi viene anche Emanuela che non conosco, abbiamo parlato di tutto un po', ci siamo fermate a far colazione, abbiamo raggiunto il passo del Foscagno alle ore 10,30 , essendo zona franca il pieno dell'auto è d'obbligo, la benzina domenica costava euro = 1,03 al litro, poi abbiamo fatto qualche acquisto e siamo scesi verso Livigno.




Un po' di foto, e ci avviavamo verso Isolaccia dove Lucia ci aspettava per il pranzo.



Altre foto, battute e poi siamo arrivati, ci attendevano tagliatelle al ragù con finferli, e sciat con bresaola e insalatina



un caffè e ripartiamo, la chiesetta di un paesino della zona circostante che , sembra dipinta tra le montagne, ci sta aspettando.



E' la chiesa di Pedenosso, un piccolo centro, che d'estate è meta di turisti/ escursionisti, d'inverno una buona località sciistica con parecchie piste da sci, fa parte del Parco Nazionale dello Stelvio


 La chiesa di Pedenosso, è in una particolare posizione panoramica, proprio sopra uno sperone di roccia , dove domina dall'alto tutta la Valdidentro, e le montagne intorno fanno parte della catena del "Cima Piazzi", è la struttura che è davvero particolare, salendo una scalinata si è convinti di entrare nella chiesa, ma invece ci si trova un corridoio in ciotolato, 




che girando in circolare abbraccia tutta la struttura della chiesa, con finestre che permettono di ammirare il panorama sottostante dal lato destro mentre dal lato sinistro le montagne che svettano alte. Attraverso un portale decorato molto bello si accede alla chiesa.
Purtroppo è un po buia e non riesco a fotografare come vorrei, ma è davvero, davvero molto bella e particolare, un soffitto a cassettoni 


intarsiati rende l'ambiente austero, e intimo, non freddo e distante, e opulento , dove lo sfarzo quasi stona con il luogo di preghiera.
La chiesa è dedicata ai Santi Martino e Urbano
Si riparte e giungiamo alla pozza di Leonardo, così chiamata, un sentiero che si innoltra nel bosco, non molto lungo, una parte di questo passaggio è stata cementata si allunga accanto ad una parete rocciosa a strapiombo sul torrente, non è molto alto, le mie amiche erano davanti a me, andavano spedite, poi un piccolo ponticciolo, che non aveva nulla a cui afferrarsi, devo dire che per piccolo che fosse...ho provato un senso di paura, ma piano piano l'ho superato, molto piano per la verità.
 Siamo arrivate alla pozza, c'erano parecchie persone, bambini immersi in questa piscina naturale di acqua termale calda, mentre dai canaloni dalle montagne scendevano le stalattiti di ghiaccio, dalla pozza il vapore caldo si alzava, a fianco il fiume Adda scorreva bello gonfio.
Siamo entrate e ci siamo state un po, ma poi dovevamo rientrare alle nostre case e lasciare spazio anche alle altre persone.
Dicono sia emozionante di notte, fare il bagno nella pozza illuminata tutto intorno dalla luce delle candele.. Ci siamo rivestite non senza un po' di imbarazzo, da parte mia, mi hanno aiutato le mie amiche visto i miei problemi con i piedi e la schiena, e siamo ritornate all'auto.
Un'esperienza nuova, un po trasgressiva, o forse no, ma è stata una giornata speciale. A Sondalo abbiamo fatto una sosta per salutare una persona, che purtroppo è ricoverata, anche l'ospedale ha però un lato positivo, le montagne tutte intorno.
Dalle finestre delle camere si gode un panorama che è qualcosa di veramente bello.
Questa particolare aria aiuta molto chi per una malattia è debilitato....
Il ritorno a casa, mentre dall'auto in lontananza si vedevano  le chiese, ruderi, torri di guardia, e qualche piccolo castello illuminato,  con le nostre chiacchiere e le nostre risate, non è sembrato lungo, davvero una giornata in serenità.
Con Emanuela ci siamo chieste l'amicizia in un network virtuale e ci siamo sentite, cosa dire.... se non.... Grazie Marisa