il filo dei ricordi-racconti

martedì 10 dicembre 2013

Nonna Licia e il Sacrista

Si avvicina il Natale e la mia nonnina Licia mi racconta sempre qualche aneddoto, ha iniziato dicendomi che aveva ormai quasi 20 anni, quando il suo papà dopo una vendita azzeccata di vino Asprino chiamato in dialetto Ciaret, aveva potuto comperare per lei, le sue sorelle, e i suoi cugini, un frutto esotico che non avevano mai visto: " Le Banane", ricorda che la mangiava a piccoli morsi e che la teneva in bocca il più possibile per assaporarne il gusto.
Poi mi parla del Natale da sposina, e di quando ha avuto il primo figlio, che essendo nato a novembre, era per loro un Gesù bambino.

Nei giorni successivi mi ha parlato di un Natale triste, in quell'anno aveva perso la sua unica figlia femmina, nata con una malformazione al fegato, a volte ancora oggi, mentre dorme, si sveglia, perchè sogna le grida di dolore della sua bambina, in quel Natale, la sofferenza era tanta, che lei e il marito non riuscivano nemmeno a guardarsi negli occhi.

I suoi occhi azzurri si velano un po, ma trovando, una forza personale, mi dice: " la vita è questa, gioie e dolori, ma sono contenta, dopo quella disgrazia, ci siamo messi d'impegno e abbiamo acquistato questo appartamento , è anche troppo per chi come me viene dal nulla..."
Il sorriso le torna sulle labbra, raccontandomi di quando aveva tutti i nipotini in casa, dice che a volte il marito sembrava geloso delle attenzioni che lei riversava sui tre nipoti.
Segue sempre un filo conduttore, ma ha tante cose da raccontarmi e divaga qualche volta, oggi mi parla del Giosuè, non ricorda con precisione quale fosse il loro grado di parentela, dice:
" sono sicura, che eravamo parenti".



Durante la prima guerra mondiale, il fucile di Giosuè è scoppiato per cui aveva un occhio di vetro e da un orecchio non sentiva più, cio nonostante era un uomo grande e grosso...
Con la seconda guerra mondiale, tutti gli uomini in buone condizioni fisiche, furono richiamati o arruolati, per cui in paese erano rimasti gli uomini malati e anziani, il Giosuè non essendo idoneo e Don Filippo.
Don Filippo confortava le anime, ma non aveva tempo per suonare le campane.
Giosùè non si lamentava mai, anche se in primavera pioveva troppo e il raccolto subiva dei danni, o se il sole troppo caldo di giugno o luglio bruciava le spighe, o se il raccolto dei bachi da seta non aveva dato l'entrata economica desiderata.
Aveva sempre un po di verdura nell'orto e qualche animale nel pollaio.
Gli fu proposto di fare anche il sacrestano, e il campanaro,



Accettò il compito di suonare le campane, continando ha lavorare la sua terra, aiutava nei lavori pesanti le mogli dei suoi compaesani che erano al fronte.
Il compito di campanaro lo aveva assunto con tale dignità e impegno, che al termine della guerra, qualcuno, forse un po' geloso, fece notare che il campanaro era per metà sordo, ma i suoi paesani, riconoscenti, non vollero sostituirlo,così come nessuno riuscì a farlo cedere, ne riuscirono a spegnere la sua buona volontà.
Le campane venivano usate, anche per occasioni personali, a disposizione di chi lo richiedeva, la disponibilità era di prestare il suono delle campane anche per fare una serenata alla fidanzata, o ad ogni nascita che avveniva nel paese.
Suonò la serenata alla sua bella fidanzata, che poi divenne sua moglie, ad ogni nascita dei suoi figli lo scampanellare risuonava nel paese.

I suoi otto figli presto iniziarono a lavorare, gli uomini nella fabbrica di strumenti musicali "Orsi " di Cavallasca, solamente durante il periodo bellico, ebbero un fermo, poi seguendo l'esempio famigliare tutti lavoravano e molto.
Le figlie femmine lavoravano nel cotonificio di Mendrisio, costruirono, ognuno la propria casa, e anche una piccolina per il Giosuè e la moglie Anna.
Era distante dalla chiesa, ma Giosuè, si recava sempre a suonare le campane, con ogni condizione atmosferica, pioggia, neve, ghiaccio o caldo afoso, non mancava mai.
Solo tre volte si fece sostituire, il suono di quelle campane era mesto.
Una brutta epidemia influenzale, in pochi giorni aveva portato via alla famiglia di Giosuè, due figle femmine e il vecchio padre...
Il suono delle campane era ad intermittenza, lanciava tanta felicità e a volte era foriero di dolori, di perdite, ma ciononostante amava
quel lavoro , il Sacrista Giosuè, ringraziava il Padre Eterno, invitando tutto il paese alle novene, alle sagre, per annunciare la partenza o l'arrivo degli emigrati.
Le notti di agosto, quando le stelle di San Lorenzo correvano nel cielo, la festa di fine estate.



In autunno si festeggiava la vendemmia, lo scampanare era motivo di festa.
Ma la vera festa era il Natale, il bilancio di un anno la benedizione, il fieno in cascina, il granoturco in granaio, qualche sacco di frumento per il pane, il lino raccolto che aspettava in queste lunghe serate invernali di essere filato,



 mentre le uova vendute permettevano il viver quotidiano, i capponi pronti già prenotati , ma il più grosso era per la famiglia, per il giorno di Natale, in quell'occasione tornavano, i figli emigrati in giro per il mondo e le figlie, da Mendrisio, ognuno col proprio gruzzoletto.

Tanta grazia, veniva onorata dal sacrista con colpi secchi e sicuri sui legni che tiravano il battacchio delle campane,
per la canzone del Santo Natale.



Proprio alla vigilia di Natale di quarant'anni dopo, col groppo in gola, e lacrime che gli rigavano il viso, il Giosuè suonava per l'ultima volta, non l'avevano abbattuto le difficoltà, i dolori o la vecchiaia, ma il progresso, l'avevano messo fuori servizio, le campane elettriche.

6 commenti:

  1. Bel racconto Enrica, ci sono tutte le cose belle che ci raccontavano le nostre nonne, ci si accontentava di poco e per poco sembrava tanto. Grazie Enrica mi riporti indietro nel passato.
    Anna B.

    RispondiElimina
  2. anche se si soffriva la fam il freddo, quelli erano veri giorni di festa di felicità per bambini e adulti, adesso il progresso non ha tolto solo il campanaro , ma la dignità all'umanità intera , portando via milioni di posto di lavoro. brava kikka sempre splendidi i tuoi racconti

    RispondiElimina
  3. anche se si soffriva la fame e il freddo quelli erano veri giorni di festa di felicità per bambini e adulti, adesso il progresso non ha tolto solo il campanaro, ma la dignità all'umanità intera,portando via milioni di posto di lavoro. brava kikka sempre splendidi i tuoi racconti, sergio

    RispondiElimina
  4. grazie Enrica, per questo nuovo racconto, sono stato poco bene, e solo oggi ho potuto leggere il tuo nuovo scritto....
    No ti curare di chi ti imita continuamente, scrivendo cose senza avere ll'idea di come si scrive senza trasmettere alcuna emozione, ma solo per far colpo , e atteggiarsi a vittima davanti alle critiche.Ricorda in bosco non accettano critiche, e sono d'accordo con Riccardo racconti appiccicosi da far venir la carie.

    RispondiElimina
  5. Io non mi curo di niente, e non voglio entrare più e dico Più in questi discorsi, se ti va commenta senza fare allusioni, altrimenti te lo chiedo per la seconda volta non commentare

    RispondiElimina