Si avvicina il
Natale e la mia nonnina Licia mi racconta sempre qualche aneddoto,
ha iniziato dicendomi che aveva ormai quasi 20 anni, quando il suo
papà dopo una vendita azzeccata di vino Asprino chiamato in dialetto
Ciaret, aveva potuto comperare per lei, le sue sorelle, e i suoi
cugini, un frutto esotico che non avevano mai visto: " Le
Banane", ricorda che la mangiava a piccoli morsi e che la
teneva in bocca il più possibile per assaporarne il gusto.
Poi mi parla
del Natale da sposina, e di quando ha avuto il primo figlio, che
essendo nato a novembre, era per loro un Gesù bambino.
I suoi occhi
azzurri si velano un po, ma trovando, una forza personale, mi dice: "
la vita è questa, gioie e dolori, ma sono contenta, dopo quella
disgrazia, ci siamo messi d'impegno e abbiamo acquistato questo
appartamento , è anche troppo per chi come me viene dal nulla..."
Il sorriso le
torna sulle labbra, raccontandomi di quando aveva tutti i nipotini in
casa, dice che a volte il marito sembrava geloso delle attenzioni che
lei riversava sui tre nipoti.
Segue sempre un
filo conduttore, ma ha tante cose da raccontarmi e divaga qualche
volta, oggi mi parla del Giosuè, non ricorda con precisione quale
fosse il loro grado di parentela, dice:
" sono
sicura, che eravamo parenti".
Durante la
prima guerra mondiale, il fucile di Giosuè è scoppiato per cui
aveva un occhio di vetro e da un orecchio non sentiva più, cio
nonostante era un uomo grande e grosso...
Con la seconda
guerra mondiale, tutti gli uomini in buone condizioni fisiche, furono
richiamati o arruolati, per cui in paese erano rimasti gli uomini
malati e anziani, il Giosuè non essendo idoneo e Don Filippo.
Don Filippo
confortava le anime, ma non aveva tempo per suonare le campane.
Giosùè non si
lamentava mai, anche se in primavera pioveva troppo e il raccolto
subiva dei danni, o se il sole troppo caldo di giugno o luglio
bruciava le spighe, o se il raccolto dei bachi da seta non aveva dato
l'entrata economica desiderata.
Aveva sempre un
po di verdura nell'orto e qualche animale nel pollaio.
Accettò il
compito di suonare le campane, continando ha lavorare la sua terra,
aiutava nei lavori pesanti le mogli dei suoi compaesani che erano al
fronte.
Il compito di campanaro lo aveva assunto con tale dignità e impegno, che al termine della guerra, qualcuno, forse un po' geloso, fece notare che il campanaro era per metà sordo, ma i suoi paesani, riconoscenti, non vollero sostituirlo,così come nessuno riuscì a farlo cedere, ne riuscirono a spegnere la sua buona volontà.
Il compito di campanaro lo aveva assunto con tale dignità e impegno, che al termine della guerra, qualcuno, forse un po' geloso, fece notare che il campanaro era per metà sordo, ma i suoi paesani, riconoscenti, non vollero sostituirlo,così come nessuno riuscì a farlo cedere, ne riuscirono a spegnere la sua buona volontà.
Le campane
venivano usate, anche per occasioni personali, a disposizione di chi
lo richiedeva, la disponibilità era di prestare il suono delle
campane anche per fare una serenata alla fidanzata, o ad ogni nascita
che avveniva nel paese.
Suonò la
serenata alla sua bella fidanzata, che poi divenne sua moglie, ad
ogni nascita dei suoi figli lo scampanellare risuonava nel paese.
I suoi otto
figli presto iniziarono a lavorare, gli uomini nella fabbrica di
strumenti musicali "Orsi " di Cavallasca, solamente
durante il periodo bellico, ebbero un fermo, poi seguendo l'esempio
famigliare tutti lavoravano e molto.
Le figlie
femmine lavoravano nel cotonificio di Mendrisio, costruirono,
ognuno la propria casa, e anche una piccolina per il Giosuè e la
moglie Anna.
Era distante dalla chiesa, ma Giosuè, si recava sempre a suonare le campane, con ogni condizione atmosferica, pioggia, neve, ghiaccio o caldo afoso, non mancava mai.
Era distante dalla chiesa, ma Giosuè, si recava sempre a suonare le campane, con ogni condizione atmosferica, pioggia, neve, ghiaccio o caldo afoso, non mancava mai.
Solo tre volte
si fece sostituire, il suono di quelle campane era mesto.
Una brutta
epidemia influenzale, in pochi giorni aveva portato via alla famiglia
di Giosuè, due figle femmine e il vecchio padre...
Il suono delle
campane era ad intermittenza, lanciava tanta felicità e a volte era
foriero di dolori, di perdite, ma ciononostante amava
quel lavoro ,
il Sacrista Giosuè, ringraziava il Padre Eterno, invitando tutto il
paese alle novene, alle sagre, per annunciare la partenza o l'arrivo
degli emigrati.
In autunno si
festeggiava la vendemmia, lo scampanare era motivo di festa.
Ma la vera
festa era il Natale, il bilancio di un anno la benedizione, il fieno
in cascina, il granoturco in granaio, qualche sacco di frumento per
il pane, il lino raccolto che aspettava in queste lunghe serate
invernali di essere filato,
mentre le uova vendute permettevano il
viver quotidiano, i capponi pronti già prenotati , ma il più
grosso era per la famiglia, per il giorno di Natale, in
quell'occasione tornavano, i figli emigrati in giro per il mondo e
le figlie, da Mendrisio, ognuno col proprio gruzzoletto.
Tanta grazia,
veniva onorata dal sacrista con colpi secchi e sicuri sui legni che
tiravano il battacchio delle campane,
Bel racconto Enrica, ci sono tutte le cose belle che ci raccontavano le nostre nonne, ci si accontentava di poco e per poco sembrava tanto. Grazie Enrica mi riporti indietro nel passato.
RispondiEliminaAnna B.
anche se si soffriva la fam il freddo, quelli erano veri giorni di festa di felicità per bambini e adulti, adesso il progresso non ha tolto solo il campanaro , ma la dignità all'umanità intera , portando via milioni di posto di lavoro. brava kikka sempre splendidi i tuoi racconti
RispondiEliminaanche se si soffriva la fame e il freddo quelli erano veri giorni di festa di felicità per bambini e adulti, adesso il progresso non ha tolto solo il campanaro, ma la dignità all'umanità intera,portando via milioni di posto di lavoro. brava kikka sempre splendidi i tuoi racconti, sergio
RispondiElimina♥
RispondiEliminagrazie Enrica, per questo nuovo racconto, sono stato poco bene, e solo oggi ho potuto leggere il tuo nuovo scritto....
RispondiEliminaNo ti curare di chi ti imita continuamente, scrivendo cose senza avere ll'idea di come si scrive senza trasmettere alcuna emozione, ma solo per far colpo , e atteggiarsi a vittima davanti alle critiche.Ricorda in bosco non accettano critiche, e sono d'accordo con Riccardo racconti appiccicosi da far venir la carie.
Io non mi curo di niente, e non voglio entrare più e dico Più in questi discorsi, se ti va commenta senza fare allusioni, altrimenti te lo chiedo per la seconda volta non commentare
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