il filo dei ricordi-racconti

martedì 14 gennaio 2014

Sant' Antonio Abate

La Signora per cui, io lavoro, in questa settimana, avrebbe voluto fare dei lavori particolari, ma visto il tempo, ha cambiato idea.
Voleva che la sua casa,  avesse tutto in ordine, e fosse pulitissima per una festa importante:
ricorre il 17 gennaio, la festa di S. Antonio Abate, il patrono del paese, viene festeggiato con un falò nella piazza comunale, dove viene allestito un mercatino e il parroco da la benedizione agli animali.

Sant'Antonio Abate fu uno dei più illustri eremiti della Chiesa, nato a Coma, in Egitto, all'età di vent'anni lasciò ogni suo avere, per vivere dapprima in un deserto e poi sulle rive del Mar Rosso, morì quasi centenario, ma già in vita aveva avuto fama di Santità, tanto che anche l'Imperatore Costantino e i suoi figli gli chiesero consiglio.


Viene definito, il patrono degli animali domestici, e di tutti coloro che lavorano il fuoco.


S.Antonio Abate viene festeggiato in tanti luoghi, nella vicina Svizzera, a Varese, a Livigno (parlo solo delle zone che conosco).
Ogni 16 e 17 gennaio a Varese , si festeggia la tradizionale Festa di Sant' Antonio, accendendo un falò davanti alla chiesa omonima in piazza della Motta.











Nel falò vengono buttati i bigliettini, su cui le donne e gli uomini presenti, scrivono le proprie richieste d’amore invocando Sant’ Antonio: 
la tradizione risale ai tempi in cui gli uomini emigrati in Germania e in Svizzera tornavano a casa e le donne del tempo chiedevano a Sant’Antonio di fargli trovare un uomo pronunciando la seguente filastrocca:
 “Sant’Antonio del purscèl/ fam truva un om che sia bel/damel picul damel grand/ ma damel mia con stort i gamb
 (Sant’Antonio santo del maiale, fammi trovare un bell'uomo da sposare, non importa che sia grande o piccolo, ma non con le gambe storte). 
Nella mattina del 17 gennaio, alla conclusione della messa solenne, vengono benedetti tutti gli animali e vengono lanciati in aria dai bambini dei palloncini contenenti anch’essi dei  bigliettini.





La festa è molto sentita dai varesini e conta un numero di partecipanti ogni anno superiore ai duemila. Oltre alle celebrazioni religiose e al falò, la città ospita bancarelle alimentari che espongono e vendono prodotti locali tipici.



Mentre invece a Livigno secondo diversi documenti che risalgono all'anno 1082 venne dedicata la Chiesa Parrocchiale di S,Antonio Valfurva, mentre a Bormio altri documenti dimostrano che verso la fine del 1300 nella frazione di Combo si autorizzava a costruire una chiesa dedicata S.Antonio Abate e S. Agostino.
S. Antonio assunse le funzioni della divinità della rinascita e della luce, il garante di nuova vita, a cui erano consacrati cinghiali e maiali.

Patrono di tutti gli addetti alla lavorazione del maiale, vivo o macellato; è anche il patrono di quanti lavorano con il fuoco, come i pompieri, perché guariva da quel fuoco metaforico che era l’herpes zoster.
La leggenda popolare narra che s. Antonio, si recò all’inferno, per contendere l’anima di alcuni morti al diavolo, e mentre il suo maialino, sgattaiolato dentro, creava scompiglio fra i demoni, lui accese col fuoco infernale, il suo bastone a ‘tau’, portò fuori insieme al maialino recuperato, il fuoco che donò all’umanità, accendendo una catasta di legna.





Il morbo che curava, era conosciuto sin dall’antichità come ‘ignis sacer’ per il bruciore che provocava.



Per ospitare tutti gli ammalati che giungevano, si costruì un ospedale e una Confraternita di religiosi, l’antico Ordine ospedaliero degli ‘Antoniani’; il villaggio prese il nome di Saint-Antoine di Viennois


Il Papa, accordò loro il privilegio di allevare maiali, per uso proprio e a spese della comunità, proprio a Livigno, il comune pagava 40 soldi ai frati di S Antonio, e un documento sancisce che il ricavato della vendita delle carni, del porco del Comune,  fosse destinato agli emissari del convento di S. Antonioil sacrestano della Chiesa, d'inverno, aveva l'obbligo di accudire gli animali, che invece d'estate,   potevano circolare liberamente fra cortili e strade, nessuno li toccava se portavano una campanella di riconoscimento.


Il loro grasso veniva usato per curare l’ergotismo, che venne chiamato “il male di S. Antonio” e poi “fuoco di S. Antonio” per questo nella religiosità popolare, il maiale cominciò ad essere associato al grande eremita egiziano, poi fu considerato il santo patrono dei maiali e per estensione di tutti gli animali domestici e della stalla.



Nella sua iconografia compare oltre al maialino con la campanella, anche il bastone degli eremiti a forma di T, la ‘tau’ ultima lettera dell’alfabeto ebraico e quindi allusione alle cose ultime e al destino.
Nel giorno della sua festa liturgica, si benedicono le stalle e si portano a benedire gli animali domestici;



Per millenni e ancora oggi, si usa nei paesi accendere il giorno 17 gennaio, i cosiddetti “focarazzi” o “ceppi” o “falò di S. Antonio”, che avevano una funzione purificatrice e fecondatrice, come tutti i fuochi che segnavano il passaggio dall’inverno alla imminente primavera. Le ceneri poi raccolte nei bracieri casalinghi di una volta, servivano a riscaldare la casa e con apposita campana fatta con listelli di legni per asciugare i panni umidi.




È invocato contro tutte le malattie della pelle e contro gli incendi. Veneratissimo lungo i secoli, il suo nome è fra i più diffusi del cattolicesimo, anche se poi nella devozione onomastica è stato soppiantato dal XIII sec. dal grande omonimo santo taumaturgo di Padova.
Nell’Italia Meridionale per distinguerlo è chiamato “Sant’Antuono”.




lunedì 13 gennaio 2014

IL MONASTERO DI MUSTAIR

Alcune volte, si parte per una gita di qualche giorno, senza avere precise informazioni, all'ultimo momento una amica ti avvisa che c'è una gita sul lago di Resia, che sono rimasti liberi pochi posti e, senza pensarci poi tanto ho detto di prenotare.
Non conoscendo bene il programma, il nostro pullman dopo essersi diretto verso Saint Moritz, oltrepassando Zernez si ferma per una visita al Monastero di Mustair.


Il monastero di San Giovanni Battista, si trova in Svizzera, nel Canton Grigioni, precisamente a Mustair, in Valle Monastero, vicinissima al confine con la Val Venosta, in Alto Adige.
L'Unesco lo ha riconosciuo come Patrimonio mondiale culturale dell'Umanità.
La chiesa convettuale di San Giovanni, risale al 780, fondata dal vescovo di Coira,con il campanile e la torre Planta e le guglie a coda di rondine contraddistinguono il monastero e il villaggio di Mustair.
Il convento custodisce tesori culturali e artistici unici, avendo subito almeno otto fasi di ristrutturazione, ogni epoca ha lasciato le proprie tracce, con stuccature, volte, salotti rivestiti in legno che fondendosi tra di loro offrono al visitatore un insieme armonico.



Partendo dall'interno, dove un ciclo pittorico, raffigurante storie dell'Antico e del nuovo testamento ci racconta la storia.
Gli affreschi, alcuni danneggiati, altri invece mantenuti egregiamente, come la "guarigione di Emorroissa",
risalgono al IX secolo, sono di arte carolingia e romanica del basso e alto medioevo, un unico ciclo meglio conservato e il più ricco del mondo.


La chiesa è interamente dipinta, deve la sua particolarità e la sua esistenza a Carlo Magno, oltre alla chiesa si può visitare anche la torre difensiva più antica dell'arco alpino.



Questo complesso monastico trasuda storia,una storia iniziata 1210 anni fa.
Ci sono anche, scene datate 1160, che forse sono le meglio conservate, dove secondo gli esperti, la tecnica e lo stile corrispondono, a diverse produzioni ritrovate in lombardia, per cui sono giunti alla conclusione che un maestro lombardo possa aver lavorato a questi affreschi romanici.


La guida, che ci ha presentato il percorso, pur essendo esaustiva ci ha accompagnato abbastanza velocemente, per non disturbare le suore, che ancora vivono nel convento e che mettono a disposizione nove camere a chi cerca un periodo di pace.



Una leggenda unisce il mito alla storia (fonte Web)
Carlo Magno, di rientro dalla sua incoronazione a re dei Longobardi nel 774, riuscì a sopravvivere a una bufera di neve e in segno di gratitudine fondò il convento di San Giovanni. Müstair si trovava infatti in una posizione strategica per le sue ambizioni di espansione ad est, verso la Baviera.



Come ogni leggenda, anche questa sembra avere un fondo di verità: le travi in legno inserite nella struttura originaria della chiesa risalgono proprio al periodo in cui l'imperatore percorse la Valtellina e attraversò il passo dell'Umbrail dopo aver conquistato il regno longobardo. Da allora la figura dell'imperatore è venerata come quella di un santo a Müstair. La sua statua si erge fiera a fianco del crocifisso, quale guardiano della chiesa



Sin dall'inizio il convento è stato decorato con pitture murali e vetrate policrome, segno evidente di un periodo di prosperità e rinascita culturale. «Bisogna immaginare la chiesa come un locale semplice, con pareti lisce e un soffitto piatto, interamente dipinto», spiega Elke Larcher. I pilastri, la volta e il matroneo furono aggiunti solo nel 1492.
Gli affreschi carolingi (VIII e IX secolo) ricoprivano interamente le pareti della chiesa e illustravano la storia della redenzione. Intorno al 1200 tutta la parete orientale fu completamente decorata con un nuovo strato di affreschi, più dinamico e fantasioso rispetto al passato, ma caratterizzato dagli stessi contenuti iconografici.


Grazie al riconoscimento da parte dell' Unesco questa zona prevalentemente agricola, ora vive anche di turismo considerando che il monastero è circondato anche dal Parco Nazionale Svizzero.











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martedì 7 gennaio 2014

Cannobio e la tradizione


Un proverbio dice che l'Epifania, tutte le feste si porta via, ma non è così a Cannobio, sul lago Maggiore.
Infatti il sette gennaio è il giorno della festa del paese.


Ogni anno viene ricordato il miracolo avvenuto nell'osteria del paese: nel 1522, un dipinto in pergamena, che rappresentava Cristo deposto dalla croce con la vergine Maria e San Giovanni Evangelista, sudava e perdeva sangue, davanti a tantissimi testimoni, dal costato di Cristo sanguinante, uscì una piccola costola, con aderenze di carne, che fu raccolta dai sacerdoti, messa in un calice e portata in processione, per poi sistemarla nella chiesa di San Vittore con un sudario, una tovaglia e altre stoffe,  con le quali il sangue era stato asciugato.
La pergamena è stata analizzata, nel 1922 e dagli esami chimici le tracce risultarono di essere di sangue vero.
Gli abitanti di Cannobio, onorano la SS. Pietà, ogni anno, lo fanno rispettando la tradizione.
Nel 1522 , le vie del borgo, non erano illuminate ed al passaggio della prima processione, i Cannobiesi,  aprirono le finestre e sporgendo i lumi ad olio e le candele illuminarono le vie che venivano percorse con le reliquie, con canti e salmi.
Ancora oggi le luci vengono spente; mentre passa la processione, tanti "luminieri" posti sui davanzali delle finestre, danno luce alle vie della città, anche le sponde del lago e le barche in porto vengono illuminate in questo modo, dando un aspetto surreale quasi magico.

Il menù, in questi giorni, in ogni casa, o ristorante, è uguale per tutti: pasta e fagioli, patate lesse e luganiche (una salsiccia di carne bovina e aglio), questo era il cibo che si mangiava in quei giorni nell'osteria del miracolo.



Ora al posto dell'osteria sorge un grande Santuario, voluto fortemente dal San Carlo Borromeo, nel Santuario della SS Pietà, vengono conservate la pergamena con la tovaglia, mentre la costola si trova nella chiesa di San Vittore.

Questo racconto, è nato ieri, Milena una amica che gioca al minigolf me lo ha raccontato e io l'ho scritto.


Viene ricordata in modo profano come la festa dei lumieri, o festa della Luganiga, per i credenti è la festa della SS. Pietà. 

domenica 5 gennaio 2014

VILLA FOSCARINI-ROSSI E VILLA FOSCARI "LA MALCONTENTA" SUL BRENTA

Non lontano da Villa Pisani , si affaccia sempre sul fiume Brenta, un'altra villa settecentesca. 
Si chiama Villa Foscarini-Rossi.



Nella notte si è abbattuta una tromba d'aria su Dolo e la zona limitrofa, per cui il fiume non è dolce e lieve come ieri.
Abbiamo dovuto attendere che avessero il permesso, dagli enti preposti,  per poter navigare il corso del fiume. 
E' comunque tornato il sole; mentre attendiamo, la nostra guida ci informa che pochi sanno che la Riviera del Brenta, oltre alle Ville e alla navigazione, offre agli amanti della natura itinerari unici, che si possono visitare percorrendo sopratutto in bicicletta, questo attraverso una pista ciclabile che consente di vedere per prima cosa un eco-sistema che non si immaginerebbe: tantissimi gli uccelli e la flora diversa e particolare, dove la natura si è adattata a vivere tra il fango e l'acqua salmastra.



Dove la marea alzandosi e abbassandosi,  copre e scopre isolotti la cui vegetazione varia, col cambiare delle stagioni, assumendo colori che danno un' altro aspetto alla laguna.
Ci dice, che attraverso la pista ciclabile, si ha la possibilità di vedere Ville poco conosciute ma non per questo meno importanti come: Villa Fattoretto Badoer, Villa Bon Tessier, Villa Tito.
Finalmente ci lasciano partire, siamo diretti a Villa Foscarini, era la dimora di uno degli ultimi dogi della Repubblica di Venezia,


il progetto di questa Villa costruita tra il 1617 e il 1635, probabilmente di Vincenzo Scamozzi, erede del Palladio di cui era amico e avversario.
Successivamente passò nelle mani della famiglia Rossi da cui prende il nome e, nel 1995, dopo un restauro durato parecchi anni, è stata aperta al pubblico, nella foresteria si svolgono eventi, matrimoni, meeting, convegni, concerti, esposizioni.



I saloni della villa ospitano un museo permanente della scarpa, " Il museo Rossimoda della Calzatura", l'esposizione si sviluppa su alcuni piani, entrando in queste sale riccamente decorate, simbolo della ricchezza di tanti anni fa, mentre la mostra contemporanea ci fa tornare ai giorni nostri, presentandoci i prototipi di calzature che l'azienda Rossimoda S.p.a. ha prodotto per parecchie case di moda famose. 

Ritorniamo al Burchiello e riprendiamo a navigare sul fiume fino a Mira: dove ci attende l'unica Villa del Palladio, Villa Foscari detta la Malcontenta.  
I Foscari, famiglia facoltosa, già proprietaria di " Ca Foscari" sul Canal Grande, volevano una residenza in periferia raggiungibile velocemente in barca dal centro cittadino. Incaricò Andrea Palladio con cui avevano già rapporti, di progettarla e di disporne i lavori.



La villa sorge su un alto basamento, per evitare che al piano nobile giungesse l'umidità, essendo molto in prossimità dell'argine del fiume che spesso esondava, come tradizione dell'edilizia lagunare, la facciata principale da sull'acqua, le rampe di accesso gemellari imponevano agli ospiti che giungevano dal fiume, un percorso cerimoniale, le grandi scalinate introducevano gli ospiti verso il proprietario che li attendeva al centro dell'atrio. 



Palladio aveva il dono e il genio di ottenere effetti monumentali, utilizzando materiali poveri, tutta la villa, comprese le colonne è in mattoni e l'intonaco fatto di polvere di marmo in diversi strati per ottenere un effetto simile al marmo.



La facciata posteriore molto alta con finestre che consentono di capire la disposizione delle stanze.



Le decorazioni interne sono  per lo più rappresentazioni mitologiche, richiamando affreschi presenti nel castello di Fontaineblau. 





La villa ha avuto in ogni epoca, ospiti della nobiltà di tutta Europa: Il re di Francia EnricoIII, Emanuele Filiberto di Savoia, Federico IV re di Norvegia e Danimarca, i duchi di Windors e altri ancora.


Sono due,  le leggende che danno origine al nome di questa villa: nella prima: sembra che la zona, si chiamasse così, trenta anni prima
della costruzione della villa, e avesse già questo soprannome 
" Malcontenuta ", per via dei continui straripamenti del fiume.
Nella seconda, invece, sembra che il soprannome si debba ad una dama della famiglia. La bella dama Elisabetta Dolfin sposata Foscari, con la caduta della Repubblica di Venezia, aveva dovuto abbandonare la città in seguito alla sua condotta viziosa e libertina, condannata ad una vita esiliata e in completa solitudine, lontana dalla vita cortigiana e fastosa, a cui era abituata, la dama, non si era mai adattata alla monotonia della campagna e della villa, morì in preda a d una forte depressione. 
 Da allora nelle notti di luna nuova , si narra che nel parco si aggiri il fantasma di una bellissima donna, con i capelli rossi, vestita di bianco, così la mal contenuta acqua del Brenta nei secoli si trasformata nella Malcontenta.
Negli ultimi anni un architetto discendente della nobile famiglia ha deciso di vivere in questo gioiello con i suoi famigliari.
La visita è terminata siamo risaliti sul nostro burchiello che ci ha riportati a Dolo.

venerdì 3 gennaio 2014

Villa Pisani sul Brenta

La Riviera del Brenta rappresenta il fiore all'occhiello e d un unicum per storia, arte e paesaggio, nonostante le diverse alterazioni, a volte anche devastazioni costituite dall'uomo
dopo l'unità d'Italia.
Il Grande naviglio, che scorre nell'alveo dell'antico Medoacus-Brenta, viene considerato la continuazione del Canal grande di Venezia, sulle rive di questo corso si affacciano palazzi e ville. Dal 1400 in poi, i veneziani intervenirono per evitare che la laguna venisse interrata, e di conseguenza bonificarono il terreno e il corso del fiume Brenta.
Il Brenta vecchio divenne un'importante via di transito, regolata da molte chiuse, dalla città lagunare a Padova e alla campagna veneta, il fiume veniva usato anche per trasporti di materiale (burci) e legname legato a forma di zattere, serviva ai signorotti dei tempi per conquistare la campagna veneta impiantandovi delle ville per la villeggiatura e il diletto, diversi furono i lavori nel corso dei secoli per consentire la navigazione.


Le prime ville sorsero tra Fusina all'attuale Stra, poi proseguendo verso Padova, inizialmente i veneziani usavano le ville anche per trarne profitto agricolo, il soggiorno coincideva con due periodi di raccolto per la mietitura, e per la vendemmia.
 Nel 700 i ricchi veneziani avevano acquistato titoli nobiliari, diedero alla zona la concezione di residenza estiva e prevalse il concetto di svago e di ospitalità, di conseguenza un maggiore sfarzo, con dimensioni sempre maggiori, stucchi , decorazioni, parchi e giardini da esibire.
Ho avuto modo di fare la navigazione sul Brenta.
Il Burchiello oggi è una moderna e confortevole imbarcazione, dotata di cabina con comodi divani, di un ponte panoramico che consente ai passeggeri la massima visibilità, di aria condizionata, bar e servizi igienici.



Nei tempi antichi però il burchiello,era la sontuosa imbarcazione veneziana per il trasporto dei passeggeri, dotata di una grande cabina di legno, con balconi, decorata finemente, utilizzata sopratutto dai ceti veneziani più facoltosi, veniva trainata da cavalli che procedevano lungo gli argini, utilizzare il borchiello era sinonimo di aristocrazia, tanto che venne citato nei loro scritti da Goldoni, Casanova e Goethe.
Il Brenta era percorso da imbarcazioni di ogni tipo (era la via più agevole ed economica).
Il Burchiello era la carrozza di posta, via acqua, dei ricchi, dotata di ogni servizio e comodità. "Vaghissimo naviglio, di specchi e intagli e di pitture ornato, che ogni minuto avanza un miglio...Passar con piacer di loco in loco, e per lungo cammin spender poco..."! scrive il Goldoni.


Nel percorso che inizia a Stra, da Villa Pisani fino alla Villa Foscari, detta la Malcontenta, si trovano molti edifici alcuni dei quali ancora esistenti e non tutti visitabili.
La prima Villa che abbiamo visitato è stata Villa Pisani, viene detta anche la Nazionale, è una villa settecentesca, imponente, che fa pensare più ad una reggia che ad una villa, costruita dalla famiglia Pisani,come residenza di villeggiatura, dove si voleva manifestare agli ospiti, spesso illustri, il rango elevato raggiunto.


Costruita in tre blocchi, nei blocchi laterali, all'interno corrispondono due grandi cortili, mentre invece nel corpo centrale un ampio colonnato sostiene il salone da ballo. Uno scalone molto ampio ci porta al piano nobile, le stanze sono tutte comunicanti tra loro, e al tempo stesso svincolato da un corridoio, che gira intorno al perimetro dei due cortili interni, mi sono rimaste impresse nella mente la sala da pranzo, la sala da ballo e il bagno di Napoleone.
Le stanze totali di questa enorme residenza sono 114 tante quante i dogi che Venezia aveva avuto fino all'elezione di Alvise Pisani uno dei committenti. Ora le camere sono 168, al suo interno ci sono molte decorazioni ma nella sala delle feste si trova il capolavoro del Tiepolo, "Gloria della famiglia Pisani" sul soffitto dove in un cielo sereno e meditato si trovano, la Fama, le Virtù, e i Continenti, che dividono lo spazio con i ritratti dei Pisani.



 Purtroppo con la caduta di Venezia, e il sopraggiungere del dominio napoleonico, villa Pisani diventerà la residenza del vicere di Napoleone in Italia, Eugenio Beauharneais, Napoleone soggiornò solo una notte a villa Pisani e in occasione di questa sua visita venne fatto costruire solo per lui una vasca da bagno in marmo rosa.
In questa villa che ha ospitato re e imperatori, dogi e Papi, nel 1934 il primo incontro ufficiale Mussolini e Hitler, che, non solo hanno goduto degli spazi, e dello sfarzo interno, ma anche del piacere di passeggiare nel parco di Villa Pisani, un entusiasta visitatore diceva " passo non si faceva senza trovare nuovo spettacolo"



I portali laterali e il belvedere, il labirnto di siepi, tra i più importanti d'Europa, la preziosa Orangerie e le Serre Tropicali, ieri come oggi,sono un piacere per la vista e per il gusto.
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mercoledì 1 gennaio 2014

Vicenza e alcuni dei suoi tesori

Il 9 gennaio 2013, in occasione di una mostra alla Basilica Palladiana, con una gita organizzata di un giorno, mi sono recata a Vicenza.
Avevo il biglietto per entrare alla mostra, ma, mi aspettava anche un amico, Sergio, proprio in quell'occasione anche se il tempo è stato poco, mi ha fatto da cicerone e ho iniziato a girare un po per Vicenza.



Vicenza, viene definita una città d'autore, per la bellezza dei suoi monumenti e per la compattezza del centro storico, potrebbe sembrare facile spiegarne il percorso, in realtà non è così semplice, è stata riconosciuta dall'Unesco patrimonio Mondiale dell'Umanità.
E' una città che ha subito l'influsso di varie epoche..... romana, gotica, rinascimentale, barocca e neoclassica, sofisticata e spontanea allo stesso tempo, è una città che da sensazioni, ma viene anche definita, città che non si scoprirà mai fino in fondo, perchè dona la sua veste, ma non la propria anima anima, una città prima da capire.....
E' situata ai piedi dei colli Berici e attraversata da tre fiumi il Retrone, l'Astichello noto al poeta Giacomo Zanella, e il Bacchiglione che qualche anno fa è esondato con danni ingenti.In tutto il mondo, viene conosciuta come la città del Palladio, perchè proprio qui si concentrano, sedici delle ventritre opere che Andrea Palladio ha costruito, anch'essi riconosciuti Patrimonio Mondiale dell'Umanità, tantissimi architetti di tutto il mondo si sono ispirati a lui.In quell'occasione ho visitato la Basilica Palladiana, dopo anni di restauro ( dal 2007 all'ottobre del 2012 ), l'afflusso di turisti accorsi sia per la mostra, sia per apprezzare il restauro era notevole, malgrado fosse una giornata fredda, mi ha colpito tutto di questo edificio, il tetto rappresenta una carena di barca rovesciata, ripristinato come in origine, proprio perchè gli interventi avvenuti con calcestruzzo dopo la seconda guerra mondiale gravavano come peso su tutta la struttura, è stato ripulito e messo in sicurezza.





Ho preso alcune informazioniNel 1549 il consiglio dei Cento di Vicenza affida ad Andrea Palladio la ricostruzione del Palazzo della Ragione, ormai cadente, chiamato "basilica" per la sua funzione civica, in riferimento alla basiliche dell'antica Roma. I governanti della città, prima di accettare qualsiasi progetto di ristrutturazione, dibatterono sugli interventi per circa quarant'anni, nel 1546 venne presentato un progetto a nome del maestro Giovanni da Pedemuro e da Andrea Palladio, tre anni dopo il Palladio realizzò anche un modello delle arcate da collocare sotto gli archi dell'edificio preesistente che continuava ad avere segni di instabilità architettonica con diversi cedimenti.I Signori Gianluigi Valmarana e Giacomo Chiericati appoggiarono Giangiorgio Trissino (mentore del Palladio) e i lavori iniziarono senza indugio. Il Palladio realizzò un gioiello architettonico che seppe far rinascere lo "splendore" della città.
Prendendo esempio dalTempio Malatestiano di Leon Battista Alberti a Rimini, chiude il vecchio edificio gotico in un involucro classicheggiante.La costruzione si compone di un doppio loggiato, dorico-tuscanico nell'ordine inferiore, e ionico in quello superiore, coronato da una balaustra ornata di statue. La copertura, in riferimento alle antiche basiliche, a padiglione.Il corpo interno, gotico rimane nascosto nell'ombra e l'edificio appare come svuotato dalla serie di arcate tra colonne in cui si sviluppa il motivo della serliana.
Questo, oltre a dare leggerezza all'edificio, determina un effetto molto dinamico dovuto al ritmo delle arcate e all'armonizzarsi delle linee curve e rette. 
La Basilica Palladiana è un edificio pubblico che affaccia su Piazza dei Signori,
un tempo era al piano superiore la sede delle magistrature pubbliche di Vicenza, al pian terreno vi era un attivo gruppo di botteghe.




Terminata la visita alla mostra ho girato con Sergio per la città, ma non ho potuto approfondire altro, il pullman mi aspettava per ritornare a casa.
Nel mese di luglio sono ritornata a Vicenza,  hoincontrato Sergio, e Roberta, abbiamo visitato ancora la città e pranzato a casa di Roberta per poi ripartire nel tardo pomeriggio verso un week-end al mare.
Siamo stati per prima cosa, al Teatro olimpico, il miei due amici non sanno che regalo mi hanno fatto, è meraviglioso.


Il Palladio iniziò il lavoro alla Basilica Palladiana,quando aveva trentotto anni, ma in età avanzata gli venne commissionata, forse la sfida più importante, costruire in uno spazio modesto, un vero e proprio teatro, non in legno



Il Teatro Olimpico è una delle meraviglie artistiche di Vicenza. Si trova all'interno del cosiddetto Palazzo del Territorio, che prospetta su piazza Matteotti, all'estremità orientale di corso Palladio, principale via del centro storico.




Nel Rinascimento, infatti, un teatro non era un edificio, venivano allestiti prosceni in legno nei cortili dei palazzi o nel caso di Vicenza nel salone del Palazzo della Ragione.


Nel 1580 il Palladio ha 72 anni quando riceve l'incarico dall'Accademia Olimpica, il consesso culturale di cui egli stesso fa parte, di approntare una sede teatrale stabile.
In pochi mesi presenta il progetto, ne esegue i lavori fino al 19 di agosto, giorno in cui muore improvvisamente, senza vedere realizzato, il suo sogno più ambito; sarà il figlio Silla a curarne l'esecuzione, consegnando il teatro alla città nel 1583.
Il progetto si ispira dichiaratamente ai teatri romani tanto studiati ed ammirati durante i suoi viaggi.





E' questo che fa del Teatro Olimpico una meraviglia, le sue parti ben definite, la Cavea a gradinata ellittica, l'orchestra, il proscenio e le scene fisse, nicchie con statue e riquadri con bassorilievi. Proprio con queste nicchie, sfruttando una serie di espedienti ottici, Il Palladio da l'illusione di profondità, questo è dovuto alla grande esperienza dell'architetto. 


Nel 1585 la prima rappresentazione ha un successo memorabile, è una tragedia greca, le scenografie rappresentano le sette vie di Tebe, che si intravedono nelle aperture del proscenio, realizzate da Vincenzo Scamozzi erede spirituale del Palladio, l'effetto è così ben riuscito, che queste sovrastrutture in legno sono diventate parte stabile del teatro.
Il teatro viene apprezzato dapprima a Venezia, poi da tutta Italia venivano ad apprezzare la bellezza di questo ambiente.



Diventa però un semplice luogo di rappresentanza vengono accolti personaggi importanti: Papa Pio VI, o l'Imperatore Francesco I d'Austria, il suo erede Ferdinando I nel 1838.
Solo verso la metà dell'ottocento il teatro riprende il ruolo per il quale era stato costruito, saltuariamente riprendono le rappresentazioni classiche, solo dopo la seconda guerra mondiale, il Teatro Olimpico, riprenderà a pieno il proprio ruolo.